Quando il licenziamento è nullo?

Licenziamento illegittimo: quando spettano la reintegra sul posto di lavoro e l’indennità.
La caratteristica principale del licenziamento nullo è che, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda, il dipendente ha sempre diritto alla cosiddetta «reintegra», ossia alla restituzione del posto, oltre a un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.

Non resta quindi che comprendere quando il licenziamento è nullo. Si tratta, in sintesi, dei casi in cui il licenziamento avviene per motivi discriminatori, per fatti non sussistenti o comportamenti mai commessi oppure quando è intimato in forma orale. Ma procediamo con ordine.

Quando il licenziamento è nullo
A prescindere dalla motivazione adottata, è nullo il licenziamento determinato da una delle seguenti ragioni:

  • credo politico o fede religiosa;
  • appartenenza al sindacato e alle attività sindacali;
  • discriminazione sindacale, politica, razziale, religiosa, di lingua o sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o su convinzioni personali;
  • per motivi di matrimonio o per gravidanza;
  • per ritorsione e rappresaglia;
  • licenziamento orale (ossia non comunicato in forma scritta).

Licenziamento per ritorsione
È ritorsivo il recesso che costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore colpito, o di altra persona a esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito la prova, anche con indizi (le cosiddette “presunzioni”). Il caso tipico è quello del licenziamento del dipendente che abbia fatto causa all’azienda contro comportamenti mobbizzanti o per recuperare gli stipendi non versati.

Licenziamento per causa di matrimonio
La legge stabilisce che il licenziamento delle lavoratrici (con esclusione di quelle addette ai servizi familiari e domestici come le colf e le badanti) intimato per causa di matrimonio è sempre nullo. Tale è il licenziamento intimato nel periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione delle nozze.

Detto in altri termini, se un’azienda licenzia una lavoratrice anche un solo giorno prima del compimento di un anno dalle nozze, tale provvedimento è nullo e la dipendente ha diritto a ritornare sul posto di lavoro. Non è ammesso il “patto contrario”.

È tuttavia ammesso il licenziamento durante tale periodo quando esso dipende da causa diversa del matrimonio ossia per:

  • colpa grave della lavoratrice: è il cosiddetto licenziamento per giusta causa;
  • cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta. La cessazione dell’attività dell’azienda comprende anche l’ipotesi della cessazione del solo ramo di attività aziendale cui sia addetta la lavoratrice. Ciò sempreché sia accertata l’impossibilità di utilizzazione della lavoratrice negli altri rami dell’azienda;
  • ultimazione delle prestazioni per le quali la lavoratrice è stata assunta;
  • risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

Licenziamento per gravidanza
È nullo il licenziamento della lavoratrice durante il periodo di gravidanza. Tale periodo decorre:

  • dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino;
  • dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione stessa.

Il divieto di licenziamento, dall’inizio dell’astensione fino al compimento di un anno di età del bambino, si applica anche al padre lavoratore che si astenga dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio in mancanza della madre (grave infermità, morte, abbandono, affidamento esclusivo al padre).

Come nel caso del licenziamento per matrimonio, anche qui il licenziamento è ammesso se sussiste:

  • colpa grave costituente giusta causa;
  • cessazione dell’attività dell’azienda;
  • ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
  • esito negativo della prova.

Licenziamento orale
Il licenziamento deve essere sempre per iscritto, anche se la legge non dice quale forma debba rivestire (se una lettera semplice, una raccomandata, un telegramma, finanche una mail o un sms). Spetta però al datore di lavoro fornire la prova del ricevimento della comunicazione da parte del dipendente (momento dal quale, peraltro, decorre per quest’ultimo il termine di 60 giorni per la contestazione). Ecco perché non è opportuno utilizzare mezzi telematici – come appunto il messaggio sul cellulare o la posta elettronica semplice – che non garantiscono la prova della lettura. Prova però che potrebbe essere ravvisata nella risposta del dipendente o nel fatto che questi abbia impugnato il licenziamento, dimostrando così tacitamente di aver preso visione della comunicazione.

Il lavoratore licenziato in forma orale, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore, ha diritto alla reintegrazione nel posto e al risarcimento del danno, da quantificarsi nelle mensilità di retribuzione decorrenti dalla data dell’illegittimo licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione.

Il lavoratore che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato oralmente deve provare che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà del datore; ove il datore, dal canto proprio, eccepisca che il rapporto si è risolto per dimissioni, il giudice deve ricostruire i fatti e, se perduri l’incertezza probatoria, deve rigettare la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della propria pretesa [1].

Nulla esclude che il licenziamento nullo per vizio di forma possa essere rinnovato (con le prescritte modalità prima omesse) per gli stessi motivi sostanziali, anche se la questione della validità del primo recesso sia già stata impugnata dinanzi al giudice.

Molestie e molestie sessuali
Atti, patti o provvedimenti concernenti il rapporto di un/a lavoratore/trice vittima di molestie e molestie sessuali sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione a tali comportamenti.

Il/la lavoratore/trice che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale non può essere licenziato/a o sottoposto/a ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa: il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo.

È nulla qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante.

Fecondazione artificiale
Ha natura discriminatoria, per ragioni legate al sesso, il licenziamento intimato alla lavoratrice che abbia manifestato la volontà di assentarsi dal lavoro, per un periodo di tempo futuro, al fine di sottoporsi a pratiche di inseminazione artificiale all’estero; in tal caso, la natura discriminatoria del licenziamento non può essere esclusa dall’esistenza di un pur valido motivo economico, consistente nella ripercussione negativa delle assenze sull’organizzazione del lavoro [2].

note
[1] Cass. n. 3822 dell’8.02.2019.

[2] Cass. n. 6575 del 5.04.2016.


8 Febbraio 2022