Licenziamento per matrimonio: il divieto vale solo per le donne

15 Novembre, 2018   |  

Solo per le donne vale il divieto di licenziamento per causa matrimonio previsto dalla legge. A stabilirlo è la Corte di Cassazione in una recente sentenza.

Se il datore di lavoro licenzia un dipendente poco dopo le sue nozze, il lavoratore non può impugnare il licenziamento invocando il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. In questi casi, infatti, il divieto di licenziamento per matrimonio contenuto dell’art. 35 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198 non è applicabile. La disposizione legislativa vale soltanto per le lavoratrici, e non anche per gli uomini.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28926 del 12 novembre 2018. Dunque, non può essere considerato illegittimo o discriminatorio il licenziamento durante il periodo tutelato per il matrimonio di un uomo. La norma vuole tutelare quelli che sono i diritti legati alla maternità, e costituzionalmente garantiti alla donna, la quale adempie a funzioni essenziali durante il periodo della gravidanza e del puerperio. Vediamo i dettagli della sentenza.

Divieto di licenziamento per matrimonio: cosa dice la legge
Il divieto di licenziamento per causa matrimonio è riconosciuto dal Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (L. n. 198/2006). All’art. 35 della predetta legge è previsto il divieto di licenziare la donna nel periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione delle nozze.

Quindi se un datore di lavoro licenzia una lavoratrice per esempio un giorno prima dello sposalizio, il provvedimento è assolutamente illegittimo e impugnabile.

Tra l’altro, le clausole contenuti nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle.

Inoltre, spetta al datore di lavoro provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo tutelato, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:

  • colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa o giustificato motivo soggettivo per la risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento disciplinare);
  • cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  • ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

Qualora il giudice accerti la nullità del licenziamento per causa delle nozze, scatta la reintegra sul posto di lavoro. La nullità del licenziamento nel periodo del matrimonio opera a prescindere dal fatto che la lavoratrice abbia comunicato al datore di lavoro di essersi sposata o di essere in procinto di convolare a nozze.

Divieto di licenziamento per causa di matrimonio: cosa dice la Cassazione
Ma il divieto di licenziamento per matrimonio vale anche per gli uomini o è una tutela riconosciuta solamente alle donne? Secondo i giudici della Corte di Cassazione la nullità del licenziamento a causa delle nozze è limitata alla sola lavoratrice. Non si tratta di un atto illegittimo o discriminatorio verso il sesso maschile. Ma semplicemente la ratio della norma risponde ad una diversità di trattamento giustificata da ragioni legate alla maternità, costituzionalmente garantita alla donna. È quest’ultima, infatti, ad adempiere ad un’essenziale funzione familiare, soprattutto nel periodo della gravidanza e del puerperio.

La decisione degli ermellini, tra l’altro, non è in contrasto con la normativa antidiscriminatoria europea, né con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

In definitiva, il fatto che la norma sulla nullità del licenziamento per causa matrimonio sia contenuta nel codice delle pari opportunità, non significa che sia estensibile anche agli uomini, poiché rappresenta una tutela unicamente per le donne. Infatti, i licenziamenti per causa nozze colpisce soprattutto le donne, le quali poi si assenterebbero quasi sempre dal lavoro per eventuale gravidanza.



Fonte : Lavoro e Diritti