Il tema della genuinità della prestazione di lavoro subordinato tra familiari è una questione aperta da quasi un trentennio. Non essendoci una normativa di riferimento, occorre rifarsi alla giurisprudenza, o talvolta, alle circolari, che pur non essendo atti normativi, si arrogano spesso il diritto di diventarlo.
Con la Sentenza n. 237 del 2009, i giudici tornarono a ribadire che “le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l’ordinamento giuridico”. Eppure, sulla genuinità del rapporto di lavoro subordinato tra familiari, si continua a far riferimento ad una lontana circolare INPS, la n.179 del 1989.
L’Istituto parte dal codice civile per avallare la sua tesi, citando nella sua circolare l’art.2094, che recita: “e’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, desumendo che, venendo a mancare il vincolo di subordinazione tra familiari, conviventi e non conviventi, il rapporto di lavoro tra datore di lavoro e familiare non è in grado di realizzare lo schema legislativo previsto dal codice civile.
Cita poi alcuni pronunciamenti della Suprema Corte, tra cui:
Le Sentenze citate dallo stesso Istituto, non escludono il rapporto di lavoro subordinato tra familiari, ammettono però la necessità dell’onere della prova a carico del datore di lavoro.
L’Istituto, ignorando del tutto questo passaggio, afferma che i criteri “ricavabili” dalle riportate pronunce giurisprudenziali trovano principale applicazione nei rapporti instaurati nell’ambito delle imprese individuali, delle società di persone e delle attività non rientranti nel concetto di impresa (ad esempio, studi professionali). Minore applicazione possono avere nei confronti delle società di capitali, salve particolari situazioni da valutare di volta in volta, in quanto la figura del datore di lavoro si identifica nella società e non nella persona degli amministratori.
In ultimo si pronuncia scrivendo: i rapporti di lavoro subordinato tra familiari non sono applicabili alle imprese familiari, nelle quali non e’ ravvisabile il requisito della subordinazione.
Nella prassi, in forza di questa circolare, l’INPS prima e gli Ispettori del lavoro poi, non fanno alcuna fatica a disconoscere e convertire un rapporto di lavoro subordinato instaurato con familiari, anche in assenza di una precisa e puntuale disposizione normativa.
Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con lettera circolare n. 10478/13, specificò che in presenza di un rapporto di lavoro subordinato tra familiari, “l’eventuale disconoscimento deve essere presidiato da analitica attività istruttoria basata su una puntuale acquisizione e verifica di elementi documentali e testimoniali, volti a suffragare le soluzioni adottate”.
In ultimo, così come analizzato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con l’approfondimento 07 maggio 2018, la Suprema Corte si è espressa più volte in merito, continuando a ribadire che la presunzione di gratuità (del lavoro familiare) può essere superata“fornendo la prova dell’esistenza del vincolo di subordinazione apprezzabile in riferimento alla qualità e quantità delle prestazioni svolte ed alla presenza di direttive, controlli ed indicazioni da parte del datore di lavoro” (Cass. Civ. Sez. Lav., n. 12433/2015 con Sentenza n. 4345/18 e n. 4535/18).
L’interpretazione dell’INPS appare estremamente rigida e priva di fondamento normativo, per disconoscere un rapporto di lavoro subordinato tra familiari occorre un’analisi caso per caso e non può certamente continuare ad essere un atto d’ufficio. Le circolari non sono ad oggi atti normativi, ci piace ribadirlo, magari se continuiamo a dirlo, se ne convinceranno anche i vari Enti e Istituti.