Un’approfondita disamina sui controlli sulle integrazioni salariali straordinarie da parte degli ispettori del lavoro, secondo le modalità fissate nella circolare della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali del Ministero del Lavoro.
Le ipotesi di integrazione salariale straordinaria, in virtù di atti normativi nuovi o prorogati, hanno cambiato, parzialmente, volto, nell’ultimo biennio, al sistema delle misure di sostegno del reddito: in tale periodo, oltre ai tradizionali provvedimenti facenti riferimento alla riorganizzazione, alla crisi aziendale con continuazione di attività ed al contratto di solidarietà, ci si è trovati di fronte, a determinate condizioni, alla CIGS per cessazione di attività (sia pure limitata fino al 2020 per effetto dell’art. 44 del D.L. n. 109/2018, convertito, con modificazioni, nella legge n. 130), allo “sforamento” del tetto massimo di CIGS e di contratto di solidarietà sempre fino al 2020, in presenza di un accordo in sede ministeriale (art. 26-bis del D.L. n. 4/2019, convertito nella legge n. 26) ed alla CIGS per le imprese sequestrate o confiscate, sottoposte ad amministrazione giudiziaria (art. 1 del D.L.vo n. 72/2018 e circolare del Ministero del Lavoro n. 10/2019, nonché alla proroga, a tutto il 2019, dei finanziamenti per le “crisi aziendali” nei call-center. Non sono mancate, altresì, precisazioni circa il versamento del contributo addizionale nelle aziende sottoposte a procedura concorsuale, autorizzate alla prosecuzione dell’attività.
Alla luce di questi ulteriori cambiamenti ritengo opportuno fare una disamina sui controlli sulle integrazioni salariali straordinarie da parte degli ispettori del lavoro, secondo le modalità fissate nella circolare della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali del Ministero del Lavoro n. 27/2016 che va, a mio avviso, integrata da altri indirizzi, anche impliciti, definiti in note amministrative successive. La circolare rappresenta una sorta di “vademecum” per gli ispettori del lavoro chiamati ad effettuare le verifiche sulle integrazioni salariali straordinarie richieste.
Ricordo che, ai fini dei controlli, il Legislatore ha previsto, nella sostanza, due ipotesi di verifiche fondamentali:
- quelle finalizzate all’accertamento degli impegni aziendali assunti in sede di presentazione del programma di CIGS;
- quelle finalizzate all’accertamento dei presupposti per la concessione del pagamento diretto dei lavoratori.
L’analisi che segue non potrà che avere sempre presenti le causali individuate dal D.M. 13 gennaio 2016 n. 94033, ma anche quelle previste da altri provvedimenti come, ad esempio, quello per le crisi aziendali riguardanti i call-center a cui si riferisce il D.M. n. 22763 del 12 novembre 2015.
Verifiche sugli impegni aziendali assunti con la presentazione del programma di CIGS
La chiave di lettura è rappresentata dall’art. 25, comma 6, del D.L.vo n. 148/2015: cambiando una prassi consolidata sotto il vecchio regime, le verifiche, per tutte le ipotesi (CIGS e CDS) degli organi di vigilanza finalizzate all’accertamento degli impegni aziendali sono svolti nei tre mesi antecedenti la conclusione dell’intervento di integrazione salariale straordinario che, con la riforma, può esser concesso, sin dall’inizio, per tutto il periodo richiesto.
La relazione ispettiva va inviata al Ministero entro i 30 giorni successivi alla fine dell’intervento integrativo salariale autorizzato e qualora dalla stessa emerga che il programma non è stato svolto o è stato rispettato solo in parte, il successivo riesame si conclude, fatte salve situazioni che necessitino di ulteriori accertamenti, con un provvedimento che deve essere emanato entro i successivi 90 giorni.
Gli Ispettorati territoriali del Lavoro sono in grado, da subito, di “calendarizzare” i tempi in quanto l’stanza va inviata, telematicamente, sia alla Divisione IV della Direzione Generale per gli Ammortizzatori che a tali organi: in ogni caso, il sistema CIGSonline la invia, in automatico, all’Ispettorato territoriale competente.
Qui la Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione richiama, nella parte finale della circolare, gli Ispettorati territoriali del Lavoro alla osservanza dei termini entro cui procedere all’accertamento anche per i riflessi di responsabilità per ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo di revoca (nel caso in cui, ad esempio, non sia stato svolto il programma presentato), secondo la previsione contenuta nell’art. 2, comma 9, della legge n. 241/1990. Ciò deve comportare una particolare attenzione da parte dei Capi degli Ispettorati che dovrebbero assegnare, senza indugio, la pratica di verifica nel momento in cui, per effetto del mero decorso temporale (3 mesi prima della scadenza), occorrerà effettuare i controlli richiesti dalla norma.
Un identico ragionamento va fatto nel caso in cui l’impresa abbia presentato la richiesta di pagamento diretto della CIGS o della solidarietà: il rispetto dei termini procedimentali (30 giorni dalla presentazione dell’istanza) assume una particolare rilevanza.
Un passaggio fondamentale relativo alle modalità di svolgimento delle verifiche riguarda il radicamento della competenza territoriale. Qui, viene operata una distinzione:
- presupposti per la concessione del pagamento diretto: qualora siano interessate una o più unità produttive che insistono sul territorio dell’Ispettorato del Lavoro, la competenza viene esercitata dal servizio ispettivo della stessa. Se la richiesta riguarda più unità produttive ubicate nella Regione o in più Regioni, il radicamento della competenza avviene sull’Ispettorato territoriale del Lavoro ove insiste la sede legale;
- verifiche ispettive per l’accertamento della realizzazione del programma aziendale: esse devono essere effettuate da ciascun Ispettorato del Lavoro nel cui territorio è ubicata l’unità produttiva interessata. Ciò significa che, fatta salva l’ipotesi in cui sia lo stesso Ministero ad autorizzare l’accentramento, ogni servizio ispettivo dovrà effettuare le proprie verifiche e, poi, dovrà inviarle alla Divisione IV della Direzione Generale per gli Ammortizzatori e gli Incentivi all’Occupazione, entro i termini procedimentali, in via telematica, attraverso il sistema CIGSonline.
Prima di entrare nel merito delle varie causali, seguendo l’ordine fissato dal D.M. n. 94033 occorre precisare come l’accertamento non possa essere soltanto documentale ma richieda, sempre, l’accesso in azienda.
Riorganizzazione aziendale
L’ art. 21, comma 1, lettera a) prevede che la CIGS possa essere richiesta, per un massimo di 24 mesi (fatta salva l’ipotesi della proroga alla quale farò cenno tra un attimo), per la causale di riorganizzazione aziendale che richiede, innanzitutto, un piano di interventi finalizzato ad eliminare inefficienze di natura produttiva o gestionale.
Il programma deve contenere indicazioni sia sugli investimenti che si intendono effettuare che sulla eventuale formazione con l’obiettivo di realizzare un consistente recupero produttivo del personale messo in CIGS.
È evidente che un aspetto basilare è rappresentato dal valore degli investimenti previsti, dichiarati all’atto di presentazione della domanda, che, rapportato su base annua in relazione alla durata dell’intervento, deve essere superiore al valore medio degli investimenti, della stessa tipologia, operati nei 24 mesi precedenti. Nell’ammontare degli investimenti previsti (correlati alle unità produttive interessate) sono compresi anche gli eventuali investimenti per la formazione o la riqualificazione, comprensivi dei contributi pubblici nazionali e regionali, ma anche comunitari.
Ma, cosa debbono verificare gli ispettori del lavoro?
Il primo controllo deve essere funzionale alla verifica degli investimenti effettuati: essi debbono riguardare, direttamente, quelli impegnati nel processo produttivi e descritti nella istanza di richiesta: il tutto, anche in coerenza con ciò che afferma l’art. 1, comma 3, del D.M. n. 94033.
Cosa significa quest’ultima affermazione?
Significa che non si tiene conto del valore medio annuo degli investimenti superiore alla media di quelli dell’ultimo biennio se l’impresa richiedente la ristrutturazione è “reduce” da un precedente intervento di CIGS “ex lege” n. 223/1991 nei 2 anni antecedenti.
Qualora non ricorra quest’ultima ipotesi gli ispettori dovranno verificare sia la congruità degli importi investiti, controllando gli importi delle fatture, che la stretta correlazione al programma di investimenti sul quale sussiste l’impegno aziendale.
C’è, poi, (secondo controllo) la questione legata all’attività di qualificazione o riqualificazione professionale: se la stessa è stata prevista per il recupero e la valorizzazione delle risorse interne, gli ispettori del lavoro debbono verificare lo stretto collegamento tra la formazione effettuata e le sospensioni, cosa molto importante e critica (il perché lo spiegherò tra poco) soprattutto se si svolge sul posto di lavoro con un congruo numero di soggetti interessati alla formazione. La criticità che (l’esperienza ce lo dimostra) potrebbe portare a forme elusive può essere superata accertando che il percorso di formazione è finalizzato esclusivamente all’aggiornamento e non alla produzione ordinaria. Tutto questo comporta un accertamento sulla effettiva sospensione dei lavoratori dalla normale attività, la concreta attuazione delle sospensioni, il collegamento della formazione con la riorganizzazione ed il numero dei lavoratori coinvolti.
La circolare n. 27 offre alcuni parametri indicativi per verificare la “bontà” della formazione sul luogo di lavoro:
- quando i lavoratori sono adibiti a mansioni e compiti diversi rispetto a quelli di ordinario impiego;
- quando, pur svolgendo gli stessi compiti, vengono adibiti su macchinari ed attrezzature diverse;
- quando il progetto formativo postula una parte teorica strettamente correlata ad una parte pratica;
- quando i soggetti formatori presentano una idoneità specifica al compito;
- quando, durante la formazione, vi sia una forma di “tutoraggio” da parte di lavoratori esperto su tali macchinari o di istruttori.
Il terzo controllo riguarda l’accertamento relativo alle sospensioni che, per l’entità, le modalità ed il tempo richiesto, debbono essere collegate alla riorganizzazione: ciò potrà avvenire anche con l’acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori
La quarta verifica riguarda il recupero occupazionale: la norma afferma che lo stesso deve raggiungere almeno la percentuale del 70%. Qui il calcolo, che è di natura puramente matematica, deve considerare non soltanto il numero dei lavoratori rientrati in azienda al termine del periodo di integrazione, ma anche di quelli ricollocati in altre unità produttive dell’impresa o in altre aziende o di quelli che hanno abbandonato l’azienda attraverso lo strumento delle dimissioni o delle risoluzioni consensuali o, anche, al termine di una procedura di mobilità conclusasi con il criterio della volontarietà (tale è il significato che la circolare n. 27 esprime quando parla di “gestione non traumatica” delle eccedenze). Ovviamente, nel computo vanno compresi anche i lavoratori che, risolvendo il rapporto, sono andati in pensione, sfruttando qualche provvedimento agevolativo predisposto dal Legislatore come, ad esempio, quello individuato dall’art. 4, commi da 1 a 7 – ter, della legge n. 92/2012 (c.d. “isopensione”) o, quelli legati all’APE, alla RITA, ai c.d. “precoci”, all’”opzione donna” o a “quota 100”. Eventuali esuberi ulteriori andranno verificati alla luce del piano di gestione presentato dall’azienda al momento della presentazione della domanda di CIGS.
Come dicevo pocanzi, il Legislatore, attraverso più interventi (art. 22-bis del D.L.vo n. 148/2015, come modificato dall’art. 26-bis del D.L. n. 4, convertito nella legge n. 26) ha previsto, fino al 2020 (quindi, in modo non strutturale) la possibilità di “sforare” il limite per un massimo di 12 mesi, in presenza di un accordo in sede ministeriale ove venga sottolineato, anche in presenza della Regione interessata, la necessità di una proroga del trattamento in quanto ci si trova di fronte a situazioni complesse ed il piano di risanamento, anche per gli eventuali esuberi, necessita di altro tempo. Ovviamente, un eventuale controllo da parte degli organi di vigilanza dovrà, in questo caso, tenere in debita considerazione, gli impegni scaturenti dal verbale ministeriale e verificarne l’attuazione.
Per completezza di informazione, ricordo che la CIGS nel settore editoriale (D.M. n. 100495/2017, attuativo del D.L.vo n. 69/2017) prevede sia per la riorganizzazione che per la crisi aziendale una durata massima complessiva non superiore ai 24 mesi, anche continuativi.
Crisi aziendale
L’ipotesi prevista dall’art. 21, comma 1, lettera b) relativa alla crisi aziendale fa riferimento a due causali diverse.
La prima riguarda una situazione involutiva dell’impresa e postula un piano di risanamento destinato a fronteggiare una serie di squilibri (produttivi, finanziari, gestionali, di mercato): esso deve contenere interventi per il raggiungimento dell’obiettivo finalizzato, da un lato alla continuazione dell’attività aziendale ed alla salvaguardia, anche parziale, dell’occupazione.
La seconda concerne la richiesta di CIGS per crisi aziendale dovuta ad un evento improvviso ed imprevisto (si pensi, ad esempio, a misure di “embargo” nelle esportazioni e nelle importazioni verso uno Stato estero disposte dagli Organismi Comunitari).
Entrambe le ipotesi prevedono che la eventuale concessione non possa avere una durata superiore ai 12 mesi.
Ma come deve avvenire la verifica degli ispettori?
Nel primo caso va valutato se il datore di lavoro ha rispettato sia i tempi che i contenuti del programma di risanamento: ciò significa che debbono essere acquisiti e verificati documenti di natura amministrativa, fiscale, contabile e commerciale, necessari per avere un quadro d’insieme. Quest’ultimo va preso in considerazione anche in rapporto all’andamento involutivo dell’ultimo biennio (bilanci “in rosso”) ed al ridimensionamento (o, quantomeno, la “stasi”) dell’organico: non è che le nuove assunzioni siano “vietate” ma, certo, a meno che non si tratti di profili professionali non presenti in azienda e assolutamente necessari per la produzione, le stesse sono viste con “sospetto” (e andrebbero “motivate” agli ispettori), soprattutto, se accompagnate da benefici di natura contributiva, economica o fiscale..
Normalmente, il programma di risanamento è accompagnato da un piano di gestione degli esuberi, cosa che può avvenire ipotizzando modalità diverse di cui, quella più comune, è, senz’altro, quella che prevede il ricorso alla procedura collettiva di riduzione di personale. Gli ispettori non debbono entrare nel merito di questa ma debbono verificare se il programma di ridimensionamento degli organici è avvenuto o meno: non entrare nel merito significa, ad avviso di chi scrive, astenersi da qualsiasi valutazione che riguardi l’iter procedimentale per la quale il Legislatore prevede, attraverso altri strumenti (ricorso giudiziale) la possibilità della impugnativa.
Nel secondo caso ove la crisi sia la conseguenza di un evento improvviso od imprevisto non ha senso la verifica del biennio antecedente: qui va, “in primis”, valutato se l’evento che ha dato origine alla richiesta ed alla successiva concessione, presenta proprio le caratteristiche sopra evidenziate e, successivamente, se il piano di risanamento prospettato (ad esempio, ricerca di nuovi mercati) ha avuto attuazione. Il ridimensionamento della struttura aziendale non è una caratteristica necessaria ed obbligatoria di questa causale: tuttavia, se è stata prevista, occorrerà verificarne l’attuazione.
Anche per la crisi aziendale sono intervenute, di recente, alcune novità.
La prima fa riferimento alla possibilità che, nel limite delle risorse stanziate (il discorso è del tutto analogo alla CIGS per ristrutturazione ed al contratto di solidarietà), possa essere concesso, a seguito di un accordo stipulato in sede ministeriale, uno “sforamento” nella durata massima, sino al limite massimo di 6 mesi, qualora il piano di risanamento ex art. 21, comma 3, presenti interventi correttivi complessi volti a garantire la continuazione dell’attività aziendale e la salvaguardia occupazionale. La circolare n. 6/2019 indica chiaramente i passaggi attuativi (la disposizione è valida fino alla fine del 2020) e gli eventuali controlli dovranno tenerli in considerazione.
La seconda fa riferimento (anche in questo caso fino al 2020) alla CIGS per cessazione di attività stabilita, a determinate condizioni, dall’art, 44 del D.L. n. 109, convertito, con modificazioni, nella legge n. 130. La circolare n. 15/2018 individua i criteri per l’approvazione dei programmi per crisi aziendale in favore di quelle aziende, anche in procedura concorsuale, che abbiano cessato la propria attività e non si siano ancora concluse le procedure relative alla ricollocazione dei lavoratori, o la stiano cessando. Anche qui la garanzia, nel rispetto dei fondi disponibili (fino ad un massimo di 12 mesi) viene fornita dall’accordo in sede ministeriale.
I controlli degli ispettori dovranno, in questo caso tenere in considerazione anche i contenuti dell’accordo ministeriale e, soprattutto, dovranno verificare che gli impegni presi, siano stati rispettati.
Sempre a proposito dei trattamenti di CIGS per crisi aziendale mi sembra opportuno ricordare che l’art. 26-sexies del D.L. n. 4/2019 ha rifinanziato per l’anno 2019 le misure di sostegno al reddito in favore dei lavoratori del settore dei call-center e che il Ministero del Lavoro, con circolare n. 8/2019 ha dettato le proprie indicazioni operative, sottolineando che la causale di intervento (che può riguardare tutti i lavoratori con una anzianità aziendale di almeno 90 giorni) è quella della crisi aziendale nelle due ipotesi classiche, quella legata all’andamento involutivo e quella determinata da un evento improvviso ed imprevisto.
Di conseguenza, per ciò che interessa l’oggetto di questa riflessione, ritengo che gli ispettori del lavoro debbano seguire le indicazioni fornite dalla circolare n. 27/2016 per le due ipotesi sopra richiamate.
Contratto di solidarietà
Come è noto, il contratto di solidarietà difensivo è, tra gli ammortizzatori sociali previsti, l’unico che richiede il raggiungimento di un accordo sindacale che, tuttavia, può avvenire soltanto con organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o con le “loro” RSA o la RSU, secondo la chiara dizione contenuta nell’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015.
Prima di entrare nel merito delle cose che gli ispettori del lavoro debbono verificare, è opportuno ricapitolare i punti essenziali del contratto di solidarietà il cui obiettivo principale è quello di scongiurare, in tutto o in parte, licenziamenti collettivi attraverso una riduzione dell’orario che nella media, per i soggetti interessati, non può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile con punte del 70% per i singoli lavoratori ma intese come media di riduzione nell’arco dell’intero periodo. Gli accordi collettivi debbono specificare le modalità di ricorso ad una maggiore prestazione lavorativa, durante la solidarietà, determinata da un aumento delle commesse o della produttività: ciò comporta una corrispondente riduzione del trattamento integrativo.
In linea di massima, durante la solidarietà non sono possibili nuove assunzioni a meno che le stesse non riguardino lavoratori in possesso di professionalità non disponibili nell’organico aziendale: tale principio è stato richiamato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 21 dell’11 agosto 2016 a proposito della possibilità di assumere un apprendista con contratto professionalizzante.
Ma cosa debbono verificare gli ispettori del lavoro?
Innanzitutto che il contratto di solidarietà, inteso come riduzione oraria programmata, sia stato rispettato: ciò potrà accadere incrociando i dati del Libro Unico del Lavoro e delle timbrature, con le dichiarazioni dei lavoratori interessati.
Una particolare attenzione va posta all’orario di lavoro, nel senso che prestazioni superiori a quelle concordate nell’accordo possono essere giustificate soltanto se previste dal contratto stesso, comportando una riduzione della integrazione. In tale logica va visto il lavoro straordinario che non è, assolutamente, ammesso per i lavoratori interessati, fatte salve ipotesi del tutto eccezionali che debbono essere giustificate e motivate.
Un’ultima verifica riguarda la possibilità che sia stata aperta una procedura di riduzione collettiva di personale, oppure, che ci siano state offerte datoriali per la risoluzione di rapporti di lavoro in essere: ebbene, il D.M. n. 94033 prevede, in linea di continuità con un indirizzo espresso negli anni passati, che riduzioni di personale ci possano essere ma che esse debbano avvenire con la “non opposizione” dei lavoratori (volontarietà quale criterio nella procedura collettiva, dimissioni, risoluzioni consensuali). Da ciò discende che nel caso in cui si sia verificata questa eventualità, gli organi di vigilanza dovranno controllare gli atti che hanno portato alla risoluzione dei singoli rapporti di lavoro.
La circolare n. 6/2019 detta le disposizioni amministrative per la richiesta di proroga, per un massimo di 12 mesi, e fino al 2020 e nel limite delle risorse disponibili, per il contratto di solidarietà, nel caso in cui permanga, in tutto o in parte, l’esubero già dichiarato nell’accordo che ha dato origine allo stesso. Tutto questo alla luce della previsione normativa dell’art. 26-sexies del D.L. n. 4/2019, convertito nella legge n. 26: anche in questo caso, come nelle situazioni concernenti la CIGS per ristrutturazione o crisi aziendale, l’accordo in sede ministeriale rappresenta l’elemento alla base sia della proroga che della eventuale verifica degli organi di vigilanza..
Imprese appaltatrici di servizi di mensa e servizi di pulizia
Il trattamento integrativo salariale straordinario per i dipendenti delle imprese che gestiscono i servizi di mensa e quelli di pulizia, come chiaramente affermato all’interno del D.M. n. 94033 per poter essere riconosciuto deve essere in stretta correlazione con la contrazione dell’attività del committente che ha fatto ricorso ad uno qualsiasi degli ammortizzatori ordinari o straordinari (CIGO – solo per i servizi di mensa -, CIGS per ristrutturazione, CIGS, per crisi aziendale, contratto di solidarietà difensivo).
La verifica degli organi ispettivi è finalizzata a verificare la connessione tra i due eventi e, in tale ottica, andranno acquisiti i contratti di appalto o di subappalto e la documentazione contabile e “visionato” il LUL.
La circolare n. 5/2019 offre la possibilità della CIGS nel caso in cui l’azienda appaltatrice cessi la propria attività ai sensi dell’art. 44 del D.L. n. 109/2018: tutto questo alfine di fornire tutela ai dipendenti. La condizione richiesta, verificabile dagli ispettori del lavoro, è che il contratto di appalto fosse vigente al momento della decisione aziendale di cessare l’attività produttiva, non rilevando ai fini della durata del trattamento che il contratto di appalto venga a scadere oi non venga prorogato proprio a causa della cessazione di attività del committente.
Imprese artigiane
Per l’impresa artigiana il ricorso al trattamento di integrazione salariale è possibile soltanto nel caso in cui il committente che ha un influsso gestionale prevalente abbia fatto ricorso ad uno qualsiasi degli ammortizzatori sociali straordinari, a trattamenti di integrazione ordinaria, a prestazioni a carico dei fondi di solidarietà alternativi o del fondo di integrazione salariale. Per i dipendenti delle imprese artigiane il trattamento può essere autorizzato limitatamente al periodo in cui vi sia stato ricorso ai trattamenti di sostegno da parte dell’impresa che esercita l’influsso prevalente.
Il compito degli ispettori si sostanzia nella verifica dell’influsso prevalente (fatture che superano la misura del 50%) e nella, conseguente, diretta connessione tra le due “situazioni di crisi”.
Partiti politici e movimenti politici e loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali
L’art. 16, comma 1, della legge n. 13/2014 ha esteso ai partiti ed ai movimenti politici ed alle loro articolazioni territoriali (a prescindere dal numero dei dipendenti) la possibilità di richiedere, nel limite dei finanziamenti previsti dalla legge, la cassa integrazione straordinaria ed il contratto di solidarietà difensivo. La norma non riguarda i dipendenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato e di quelli costituiti presso i Consigli Regionali.
Nel caso in cui sia stato presentato un programma di riorganizzazione, gli ispettori del lavoro debbono verificare la coerenza delle sospensioni con l’attuazione del programma di gestione delle eccedenze di personale. Se, invece, la richiesta è quella di crisi aziendale il controllo va fatto sulla “ripresa della attività” e sul piano di gestione degli esuberi.
Qualora sia stato, invece, richiesto il contratto di solidarietà difensivo, gli organi di vigilanza dovranno effettuare le verifiche che sono state evidenziate a proposito di tale istituto.
Procedure concorsuali
Come è noto, dal 1 gennaio 2016, per effetto dell’art. 2, comma 70, della legge n. 92/2012 non è più possibile chiedere ed autorizzare la CIGS per le imprese ammesse ad una procedura concorsuale con cessazione di attività. Tuttavia, come già precisato in via amministrativa, se la procedura prevede una continuazione dell’attività, è possibile fare ricorso ad una delle ipotesi previste dagli ammortizzatori sociali straordinari. Conseguentemente, gli organi di vigilanza, a seconda della richiesta, effettueranno i controlli già descritti per le singole causali, ricordando che la circolare n. 4/2018 ha fornito una tempistica relativa all’esonero dal versamento del contributo addizionale in relazione alle varie ipotesi di procedura concorsuale con prosecuzione dell’attività.
Violazione del criterio della rotazione in CIGS
L’art. 24, comma 6, del D.L.vo n. 148/2015 ed il successivo D.M. n. 94956 del 10 marzo 2016, hanno previsto un sistema sanzionatorio nei confronti di quelle imprese che, disattendendo quanto previsto nel verbale di esame congiunto o dichiarato nella istanza di concessione della CIGS, hanno disatteso la rotazione tra i lavoratori interessati alla sospensione o riduzione di orario: il D.M. ha quantificato la sanzione in un aumento del contributo addizionale previsto dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015, nella misura dell’1%, calcolato sui singoli lavoratori per i quali non è stata applicata la rotazione che, va sottolineato, serve per “non emarginare” alcuni dipendenti, facendo gravare soltanto su alcuni di essi, la riduzione della retribuzione.
L’accertamento ispettivo può partire da una segnalazione dei lavoratori interessati o da una organizzazione sindacale ma anche d‘iniziativa a seguito di un normale accesso ispettivo o anche in sede di verifica effettuata nei 3 mesi antecedenti la fine dell’intervento.
La verifica prevede il controllo della documentazione aziendale, del LUL e l’acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori e dei rappresentanti dell’azienda.
Se la rotazione non è stata effettuata l’Ispettorato territoriale del Lavoro trasmette gli esiti dell’accertamento alla sede competente dell’INPS e ne da notizia al trasgressore: l’Istituto provvede ad applicare sul contributo addizionale dovuto (9%, 12%, 15% della retribuzione globale non corrisposta, a seconda del periodo nell’ambito del quinquennio mobile), l’incremento pari all’1% (che, stando al dettato letterale del D.M. n. 94956 è l’unica sanzione) rapportato al numero dei lavoratori per i quali non è stata applicata la rotazione ed al periodo accertato dagli ispettori del lavoro (così è affermato a pag. 10 della circolare n. 27 al terzo capoverso del punto B).
La questione della mancata rotazione, al di là degli aspetti rilevabili con l’accesso ispettivo ed il conseguente aumento del contributo addizionale, pone un problema di natura risarcitoria a favore dei lavoratori esclusi. L’indennità risarcitoria, può essere quantificata ex art. 1218 c.c. (inadempimento contrattuale) in una misura che tiene conto di quanto gli interessati avrebbero percepito a titolo di retribuzione e quanto ottenuto a titolo di integrazione salariale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13926/2001 che si riferisce al vecchio testo sulla rotazione contenuto nell’art. 1 della legge n. 223/1991, ha ritenuto che il diritto a chiedere il risarcimento possa essere esercitato anche collettivamente attraverso le organizzazioni sindacali.
Pagamento diretto: art. 7, comma 5, del D.L.vo n. 148/2015
La norma prevede che in presenza di difficoltà di natura finanziaria il datore di lavoro possa richiedere al Ministero del Lavoro che venga autorizzato il pagamento diretto ai lavoratori dell’integrazione salariale straordinaria da parte dell’INPS: l’autorizzazione può avvenire anche contestualmente alla emissione del provvedimento di concessione ma la stessa può essere sottoposta a revoca nel caso in cui gli organi di vigilanza non constatino le predette difficoltà.
Già la circolare n. 24/2015 aveva fornito agli ispettori le prime indicazioni che la circolare n. 27 ha provveduto ad integrare.
Nella sostanza, al di là di relazioni abbastanza lunghe e “fumose”, si chiede agli Ispettorati territoriali del Lavoro di dichiarare espressamente se le difficoltà di natura finanziaria impediscono all’impresa di anticipare il trattamento e di conguagliarlo successivamente.
La verifica va fatta sull’analisi dell’indice di liquidità riferita all’anno in corso: esso deve risultare negativo, con valore inferiore all’unità, ed è il risultato del rapporto tra liquidità immediate e passività correnti. Qualora ciò non sia congruamente rilevabile, gli organi di vigilanza (ma ciò viene inteso come eccezionale) possono prendere in considerazione documenti aziendali riferibili direttamente all’impresa o al Consiglio di Amministrazione.
Per liquidità immediate si intendono: contanti in cassa ed assegni, conto corrente bancario, titoli facilmente negoziabili sul mercato (il Ministero non si dilunga sul significato dell’avverbio “facilmente”, cosa che potrebbe presupporre, in determinate situazioni, accertamenti che esulano dalla preparazione professionale dell’ispettore).
Per passività correnti si intendono: debiti di fornitura, debiti per finanziamenti a breve e debiti verso banche, debiti diversi (IVA, IRPEF, dipendenti, INPS, INAIL, ecc.), ratei e riscontri passivi, partite passive da liquidare, quote di finanziamento a medio e lungo termine che debbono scadere entro 12 mesi.
Un caso particolare di pagamento diretto da parte dell’INPS è rappresentato dal trattamento di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti da imprese sequestrate e confiscate in amministrazione giudiziaria ex art. 1 del D.L.vo n. 72/2018.
La circolare n. 10/2019 ha fornito, in modo chiaro ed esaustivo, una serie di chiarimenti applicativi e con una successiva nota, la n. 8342/2019 ha chiarito che in tali ipotesi viene esclusivamente autorizzato il pagamento diretto da parte dell’INPS.