La mancanza di un periodo transitorio nella normativa contenuta nel D.L. n. 87/2018 e la successiva correzione apportata in sede di conversione, con un emendamento inserito nella legge n. 96, impongono agli operatori e, “in primis”, alle aziende chiamate a stipulare i contratti, una attenta valutazione della casistica, in quanto, anche in buona fede, si potrebbe cadere in errori atti a riverberare i loro effetti sui contratti a termine stipulati.
Ma, andiamo con ordine, atteso che in quattro mesi coesistono, contemporaneamente, quattro regimi diversi, senza contare il settore pubblico che continua ad essere disciplinato dalla normativa previgente, con, in più, la normativa specifica per la scuola statale ove è stato tolto il limite dei 36 mesi -art. 4 bis della legge n. 96 – e non sussiste alcun limite temporale massimo.
Contratti stipulati entro il 13 luglio 2018
La riforma non incide in alcun modo sui contratti a tempo determinato in essere alla data del 13 luglio in quanto, come già affermato chiaramente nell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 87/2018: essi continuano ad essere disciplinati dalla vecchia normativa. Ciò significa che la scadenza finale massima resta fissata ai 36 mesi o al periodo diverso previsto dalla contrattazione collettiva, che le proroghe restano sempre cinque e che possono essere apposte senza l’inserimento di alcuna condizione. Gli stessi contratti, se scadono entro il 31 ottobre (data in cui termina il periodo transitorio fissato dalla legge n. 96 entrata in vigore il 12 agosto) restano soggetti alla disciplina previgente sia nel caso in cui si debba procedere a rinnovi che in caso di proroghe (quindi, assenza di causali).
Il D.L. n. 87 conteneva una disposizione che non è stata confermata nella legge di conversione: ossia quella secondo la quale anche per i vecchi contratti, qualora si fosse proceduto a rinnovi o a proroghe che avrebbero portato il contratto originario oltre la soglia dei dodici mesi, era necessario porre una condizione che facesse riferimento ad una delle causali indicate alle lettere a) e b) del comma 1 del nuovo articolo 19 del D.L.vo n. 81/2015, e precisamente:
Per completezza di informazione, ricordo che il Legislatore non ha previsto che la contrattazione collettiva possa individuare causali ulteriori, cosa che sarebbe stata opportuna in quanto più aderente alle specifiche realtà aziendali.
Ovviamente, datore di lavoro e lavoratore se prima del 31 ottobre 2018 dovessero raggiungere la soglia massima prevista, potranno stipulare, sempre entro quella data, un ulteriore contratto “in deroga assistita” avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro per un massimo di 12 mesi, senza l’immissione di alcuna condizione, proprio perché fino a quella data, si applica la vecchia normativa nei modi ivi disciplinati.
Contratti stipulati tra il 14 luglio e l’11 agosto 2018
La stipula di rapporti a termine in tale periodo ha comportato la piena applicazione delle disposizioni contenute nel D.L. n. 87/2018, fatta eccezione di quelle che sono intervenute, a partire dal 12 agosto, con la legge n. 96/2018.
Da ciò discende che:
Alcuni commentatori, relativamente ai contratti stipulati per la prima volta in tale periodo (14 luglio – 11 agosto), in considerazione del fatto che la norma inserita nel D.L. n. 87/2018, è stata cambiata hanno ritenuto che si potesse sostenere la tesi secondo la quale, sino al 31 ottobre, sarebbe possibile applicare le vecchie regole sia per i rinnovi che per le proroghe. Si tratta, a mio avviso, di una lettura un po’ azzardata per cui appare più prudente ed opportuno procedere, per tali contratti, all’applicazione totale della riforma.
Contratti rinnovati o prorogati tra il 12 agosto ed il 31 ottobre 2018
La norma transitoria, introdotta dalla legge n. 96, con un emendamento all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 87/2018, consente di applicare la vecchia normativa ai rinnovi ed alle proroghe di rapporti a termine relativi ai contratti in essere alla data del 14 luglio.
Tutto questo sta a significare, come brevemente accennato in precedenza, che:
Contratti stipulati a partire dal 1° novembre 2018
Il periodo transitorio terminato il 31 ottobre 2018 e, quindi, dal giorno successivo, nuova normativa esplica, pienamente, i propri effetti.
Ciò significa che:
A conclusione di questa breve riflessione occorre ricordare un’altra norma importante entrata in vigore il 12 agosto con la legge di conversione: mi riferisco al limite quantitativo del 30% di lavoratori utilizzabili dallo stesso datore in sommatoria tra contratti a termine e contratti di somministrazione (nuovo comma 2 dell’art. 31): la contrattazione collettiva può sempre determinare un limite diverso (maggiore o minore).
Ciò ha un effetto immediato in quanto proroghe o rinnovi di contratti avranno una loro importanza (come, del resto, la somministrazione) ai fini del raggiungimento di tale percentuale che viene calcolata sul personale in forza a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno al quale si riferiscono le assunzioni (con arrotondamento all’unità superiore in caso di percentuale superiore allo 0,5): in caso di inizio di attività in corso d’anno il numero percentuale si calcola sui lavoratori in forza a tempo indeterminato al momento della stipula del contratto..
Tale disposizione ha effetto sui contratti a termine e in somministrazione in corso alla data del 12 agosto se la percentuale complessiva fosse superiore, in assenza di diversa previsione della contrattazione collettiva?
La risposta è negativa, nel senso che il datore può continuare il rapporto con i lavoratori eccedentari (sia con contratto a tempo determinato che in somministrazione), ma gli viene preclusa la possibilità di assumerne o utilizzarne altri fintanto che non rientra sotto la soglia massima.
Ovviamente, il limite percentuale del 30% riguarda la sommatoria tra contratti a tempo determinato e somministrazione a termine (nella normativa previgente non sussisteva alcun limite legale specifico per quest’ultima, se non dettato, autonomamente, dalla pattuizione collettiva): esso appare, assolutamente, distinto da quello dell’art. 23 ove, per i soli contratti a tempo determinato, la contrattazione collettiva, anche aziendale, può prevedere una percentuale diversa rispetto al limite legale del 20%.