Il regime transitorio nei contratti a tempo determinato nel settore privato [E.Massi]

31 Agosto, 2018   |  

La mancanza di un periodo transitorio nella normativa contenuta nel D.L. n. 87/2018 e la successiva correzione apportata in sede di conversione, con un emendamento inserito nella legge n. 96, impongono agli operatori e, “in primis”, alle aziende chiamate a stipulare i contratti, una attenta valutazione della casistica, in quanto, anche in buona fede, si potrebbe cadere in errori atti a riverberare i loro effetti sui contratti a termine stipulati.

Ma, andiamo con ordine, atteso che in quattro mesi coesistono, contemporaneamente, quattro regimi diversi, senza contare il settore pubblico che continua ad essere disciplinato dalla normativa previgente, con, in più, la normativa specifica per la scuola statale ove è stato tolto il limite dei 36 mesi -art. 4 bis della legge n. 96 – e non sussiste alcun limite temporale massimo. 

Contratti stipulati entro il 13 luglio 2018

La riforma non incide in alcun modo sui contratti a tempo determinato in essere alla data del 13 luglio in quanto, come già affermato chiaramente nell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 87/2018: essi continuano ad essere disciplinati dalla vecchia normativa. Ciò significa che la scadenza finale massima resta fissata ai 36 mesi o al periodo diverso previsto dalla contrattazione collettiva, che le proroghe restano sempre cinque e che possono essere apposte senza l’inserimento di alcuna condizione. Gli stessi contratti, se scadono entro il 31 ottobre (data in cui termina il periodo transitorio fissato dalla legge n. 96 entrata in vigore il 12 agosto) restano soggetti alla disciplina previgente sia nel caso in cui si debba procedere a rinnovi che in caso di proroghe (quindi, assenza di causali).

Il D.L. n. 87 conteneva una disposizione che non è stata confermata nella legge di conversione: ossia quella secondo la quale anche per i vecchi contratti, qualora si fosse proceduto a rinnovi o a proroghe che avrebbero portato il contratto originario oltre la soglia dei dodici mesi, era necessario porre una condizione che facesse riferimento ad una delle causali indicate alle lettere a) e b) del comma 1 del nuovo articolo 19 del D.L.vo n. 81/2015, e precisamente:

  • esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’attività ordinaria, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Per completezza di informazione, ricordo che il Legislatore non ha previsto che la contrattazione collettiva possa individuare causali ulteriori, cosa che sarebbe stata opportuna in quanto più aderente alle specifiche realtà aziendali.

Ovviamente, datore di lavoro e lavoratore se prima del 31 ottobre 2018 dovessero raggiungere la soglia massima prevista, potranno stipulare, sempre entro quella data, un ulteriore contratto “in deroga assistita” avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro per un massimo di 12 mesi, senza l’immissione di alcuna condizione, proprio perché fino a quella data, si applica la vecchia normativa nei modi ivi disciplinati.

Contratti stipulati tra il 14 luglio e l’11 agosto 2018

La stipula di rapporti a termine in tale periodo ha comportato la piena applicazione delle disposizioni contenute nel D.L. n. 87/2018, fatta eccezione di quelle che sono intervenute, a partire dal 12 agosto, con la legge n. 96/2018.

Da ciò discende che:

  • se è si trattato di un primo contratto di durata non superiore a 12 mesi non è stato necessario apporre alcuna causale;
  • se si è proceduto ad un rinnovo contrattuale (quindi, ad un nuovo contratto) per mansioni riferibili al livello della stessa categoria legale di inquadramento di un precedente rapporto a termine, è stato necessario inserire una causale anche se i due contratti, in sommatoria, non superano la soglia dei 12 mesi;
  • se il contratto è stato in tale periodo e, per una qualsiasi ragione, sia stato prorogato entro tale termine temporale oltre la soglia dei 12 mesi, è stato necessaria l’apposizione di una condizione.

Alcuni commentatori, relativamente ai contratti stipulati per la prima volta in tale periodo (14 luglio – 11 agosto), in considerazione del fatto che la norma inserita nel D.L. n. 87/2018, è stata cambiata hanno ritenuto che si potesse sostenere la tesi secondo la quale, sino al 31 ottobre, sarebbe possibile applicare le vecchie regole sia per i rinnovi che per le proroghe. Si tratta, a mio avviso, di una lettura un po’ azzardata per cui appare più prudente ed opportuno procedere, per tali contratti, all’applicazione totale della riforma.

Contratti rinnovati o prorogati tra il 12 agosto ed il 31 ottobre 2018

La norma transitoria, introdotta dalla legge n. 96, con un emendamento all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 87/2018, consente di applicare la vecchia normativa ai rinnovi ed alle proroghe di rapporti a termine relativi ai contratti in essere alla data del 14 luglio.

Tutto questo sta a significare, come brevemente accennato in precedenza, che:

  • il contratto rinnovato (quindi, si è in presenza di almeno un secondo contratto con le stesse mansioni riferibili alla categoria legale di inquadramento) non abbisogna della specificazione di alcuna condizione: è, quindi, libero da causali e può giungere fino al termine fissato dalla vecchia normativa a 36 mesi o a quello, anche maggiore, determinato dalla contrattazione collettiva che può anche essere aziendale, con i soggetti sindacali individuati dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015;
  • le proroghe utilizzabili nell’arco temporale di 36 mesi sono 5 e non 4, come prevede il nuovo comma 1 dell’art. 21;
  • le causali previste dal nuovo comma 1 dell’art. 19, fino al 31 ottobre 2018, si possono, benissimo, non apporre. 

Contratti stipulati a partire dal 1° novembre 2018

Il periodo transitorio terminato il 31 ottobre 2018 e, quindi, dal giorno successivo, nuova normativa esplica, pienamente, i propri effetti.

Ciò significa che:

  • il primo contratto a termine stipulato fino a 12 mesi è “libero”, ossia può non prevedere alcuna causale;
  • se un contratto a tempo determinato viene stipulato per un periodo inferiore ai 12 mesi e viene prorogato entro tale soglia temporale, non c’è bisogno di apporre alcuna condizione, ma se la proroga varca tale limite, occorre inserire una causale che fa riferimento, unicamente, alle ipotesi delineate dal Legislatore alle lettere a) e b) del nuovo comma 1 dell’art. 19;
  • in caso di rinnovo di un contratto (sempre riferibile a mansioni del livello della categoria legale di inquadramento) occorre, sempre, inserire, una causale pur se tale contratto, anche sommato con il precedente, non arriva a 12 mesi;
  • un contratto a termine senza causale che supera il limite dei 12 mesi, si trasforma a tempo indeterminato a partire da tale data;
  • le proroghe, alle quali occorre apporre una causale se il rapporto supera la soglia dei 12 mesi, sono 4 nell’arco temporale complessivo di 24 mesi (calcolati, anche in sommatoria, tra contratti, proroghe, rinnovi e somministrazione a tempo determinato) e possono portare alla trasformazione del rapporto se tale limite si supera: in questo caso, il contratto diviene a tempo indeterminato a partire dalla quinta proroga;
  • la contrattazione collettiva, anche aziendale, può prevedere un limite più ampio rispetto ai 24 mesi: tale potere non stato, assolutamente, “toccato” dalla riforma. Nel computo complessivo vanno sommati tutti i contratti a tempo determinato (anche lontani nel tempo) relativi a mansioni riferibili al livello della categoria legale di inquadramento (ma, ad esempio, i contratti a termine con i lavoratori in mobilità, fino ad un massimo di 12 mesi, non vanno computati per effetto dell’art. 29, comma 1, lettera a, del D.L.vo n. 81/2015) ed i rapporti di somministrazione a termine a partire dal 18 luglio 2012, nel rispetto della circolare del Ministero del Lavoro n. 18/2012;
  • i contratti a termine per attività stagionali (che sono quelle previste dal DPR n. 1525/1963 e dalla contrattazione collettiva) possono essere stipulati senza causali: si tratta, come ben si comprende leggendo la norma, di qualcosa di molto diverso dai “normali” contratti a termine in quanto non c’è il limite massimo dei 24 mesi, non c’è lo “stop and go” ed il diritto di precedenza, attivabile per iscritto entro tre mesi dalla cessazione del rapporto, offre soltanto un diritto ad un nuovo contratto stagionale per la successiva “campagna”;
  • il lavoratore ha più tempo per presentare il ricorso avverso la eventuale nullità del contratto a termine: infatti il nuovo art. 28, comma 1, prevede che lo stesso debba essere depositato entro 180 dal licenziamento. In caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato il giudice (art. 28, comma 2) condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo una indennità onnicomprensiva compresa tra 2,5 e 12 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, sulla base dei criteri indicati dall’art. 8 della legge n. 604/1966. L’indennità “copre” per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e previdenziali, relativo al periodo intercorrente tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale è stata ordinata la ricostituzione del rapporto;
  • in caso di superamento del limite legale (20%) o contrattuale di contratti a termine stipulabili, viene esclusa (art. 23, comma 4) la trasformazione a tempo indeterminato e trova applicazione, unicamente, la sanzione, applicata dall’Ispettorato territoriale del Lavoro, pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni, se il numero dei lavoratori assunti in violazione è pari ad una unità: tale percentuale sale al 50% se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore ad uno.

A conclusione di questa breve riflessione occorre ricordare un’altra norma importante entrata in vigore il 12 agosto con la legge di conversione: mi riferisco al limite quantitativo del 30% di lavoratori utilizzabili dallo stesso datore in sommatoria tra contratti a termine e contratti di somministrazione (nuovo comma 2 dell’art. 31): la contrattazione collettiva può sempre determinare un limite diverso (maggiore o minore).

Ciò ha un effetto immediato in quanto proroghe o rinnovi di contratti avranno una loro importanza (come, del resto, la somministrazione) ai fini del raggiungimento di tale percentuale che viene calcolata sul personale in forza a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno al quale si riferiscono le assunzioni (con arrotondamento all’unità superiore in caso di percentuale superiore allo 0,5): in caso di inizio di attività in corso d’anno il numero percentuale si calcola sui lavoratori in forza a tempo indeterminato al momento della stipula del contratto..

Tale disposizione ha effetto sui contratti a termine e in somministrazione in corso alla data del 12 agosto se la percentuale complessiva fosse superiore, in assenza di diversa previsione della contrattazione collettiva?

La risposta è negativa, nel senso che il datore può continuare il rapporto con i lavoratori eccedentari (sia con contratto a tempo determinato che in somministrazione), ma gli viene preclusa la possibilità di assumerne o utilizzarne altri fintanto che non rientra sotto la soglia massima.

Ovviamente, il limite percentuale del 30% riguarda la sommatoria tra contratti a tempo determinato e somministrazione a termine (nella normativa previgente non sussisteva alcun limite legale specifico per quest’ultima, se non dettato, autonomamente, dalla pattuizione collettiva): esso appare, assolutamente, distinto da quello dell’art. 23 ove, per i soli contratti a tempo determinato, la contrattazione collettiva, anche aziendale, può prevedere una percentuale diversa rispetto al limite legale del 20%.



Fonte : Dottrina Lavoro