Divieto di licenziamento: per quali imprese e quando scatta

14 Giugno, 2021   |  

Ammortizzatori sociali senza contributo addizionale, ma con divieto di licenziamento. E’ questa la filosofia di base del decreto Sostegni bis che introduce significativi cambiamenti, ferme restando le date relative alla fine del blocco dei licenziamenti diversificate a seconda dell’ammortizzatore utilizzato stabilite dal decreto Sostegni. Vengono difatti ipotizzati blocchi parziali correlati alla utilizzazione di nuove integrazioni salariali speciali e “scontate” nonché alla fruizione dello sgravio contributivo nei settori del commercio, del turismo e degli stabilimenti termali. Il risultato è un quadro normativo complesso e di non facile lettura (e applicazione).

Mentre il Parlamento approvava, in via definitiva, la conversione del decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021) attraverso la legge n. 69 del 2021, il Consiglio dei Ministri varava il decreto Sostegni bis (D.L. n. 73 del 2021) con alcune disposizioni che, ferme restando le date relative alla fine del blocco dei licenziamenti, diversificate a seconda dell’ammortizzatore utilizzato, introduceva alcuni significativi cambiamenti, ipotizzando nuovi blocchi parziali correlati, ad esempio, alla utilizzazione di integrazioni salariali ex titolo 1, capi I e II, del D.L.vo n. 148/2015, o alla fruizione dello sgravio contributivo, a determinate condizioni, nei settori del commercio, del turismo e degli stabilimenti termali, per chi avesse fruito di ammortizzatori COVID-19 nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021.
Nel frattempo, la Commissione Europea, nelle raccomandazioni indirizzate agli Stati dell’Unione in data 2 giugno, ha sottolineato come il divieto dei licenziamenti si presenti “controproducente in quanto ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro a livello aziendale”.
Ma, al momento, quale è lo stato dell’arte?
Blocco dei licenziamenti e deroghe
La norma contenuta nel decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021) fissa la fine del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo al 1° luglio per quelle aziende che rientrano nel campo di applicazione della CIGO ed al 1° novembre per i datori di lavoro che utilizzano l’assegno ordinario del FIS, dei Fondi bilaterali alternativi, il trattamento della Cassa in deroga, e quello della CISOA, la Cassa integrazione degli operai agricoli a tempo indeterminato.
Ricordo, per completezza di informazione, che prima dello scoccare delle rispettive date è sempre possibile operare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o risoluzioni consensuali in alcune ipotesi specifiche, ricordate, da ultimo, anche dal decreto Sostegni bis (D.L. 25 maggio 2021 n. 73):

· Cambio di appalto con la riassunzione del personale da parte del datore di lavoro subentrante nel rispetto di un obbligo di legge (ad esempio, art. 50 del codice degli “appalti pubblici”), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o di un codicillo inserito nel contratto di appalto;

· Licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, conseguenti anche alla messa in liquidazione della società, a meno che non si configuri una cessione totale o parziale dell’azienda, nel qual caso scatta la tutela dell’art. 2112 c.c. per ogni lavoratore interessato, con la conseguente illegittimità dei recessi;

· Accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono, a mio avviso, aggiungere la propria firma “ad abundantiam”), limitatamente ai lavoratori che aderiscono. Questi ultimi hanno diritto alla NASpI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con la circolare n. 111/2020 (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato e dichiarazione di adesione). Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASPI nella misura ordinaria. Nell’accordo collettivo che, a mio avviso, va siglato entro il giorno di scadenza del “blocco dei licenziamenti” pur potendo le risoluzioni dei rapporti avvenire in data successiva (e, sarebbe opportuno che, il Ministero del Lavoro, uscendo dal suo tradizionale silenzio, fornisse qualche indicazione amministrativa scritta), le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) identificare il “quantum” a titolo di incentivo all’esodo che può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato possibili anche attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, riguarda le imprese con un organico superiore alle 100 unità (limite abbassato dal D.L. n. 73/2021). Nell’accordo, le parti possono anche convenire che i singoli accordi di risoluzione siano sottoscritti “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso la procedura telematica individuata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo collettivo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di personale (criterio, concordato, delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure individuali ex art. 7 della legge n. 604/1966;

· Fallimento, nel caso in cui non vi sia una prosecuzione, anche parziale dell’attività, magari autorizzata dall’autorità giudiziaria. Nel caso vi sia una prosecuzione parziale di attività, restano esclusi dal recesso i dipendenti occupati in tale esercizio.

Le prime novità (ma non sono le sole) che hanno richiamato l’attenzione degli operatori, si trovano all’interno dei commi 3 e 4 del decreto Sostegni bis.
Di cosa si tratta?
Ammortizzatori sociali: contributo addizionale e divieto di licenziamento
Il Governo ha previsto (comma 3) per le aziende rientranti nel campo di applicazione della integrazioni salariali ordinarie e straordinarie disciplinate dal D.L.vo n. 148/2015 e per le quali cessa di operare “l’ombrello protettivo” delle integrazioni salariali COVID-19, la possibilità, fino al 31 dicembre 2021, di ricorrere, ferma restando la ordinaria contribuzione mensile (art. 13 del D.L.vo n. 148/2015), agli ammortizzatori ordinari e straordinari senza il pagamento di alcun contributo addizionale che è quantificato dall’art. 5 nella misura del:
· 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non lavorate (e non sulla integrazione salariale anticipata), relativamente ai periodi di integrazione ordinaria o straordinaria fruiti attraverso anche più interventi fino ad un massimo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
· 12% oltre le 52 settimane, sino ad un massimo di 104 in un quinquennio mobile;
· 15% oltre le 104 settimane in un quinquennio mobile.

Al successivo comma 4 si afferma che ai datori di lavoro che presentano istanza di richiesta dell’ammortizzatore sociale non accompagnato dal pagamento del contributo addizionale, restano preclusi, per la durata del trattamento fruito fino al prossimo 31 dicembre, l’avvio di procedure collettive di riduzione di personale, la ripresa di quelle “bloccate” fin dalla data di emanazione del D.L. n. 18/2020 a partire dal 24 febbraio dello scorso anno e, a prescindere dai limiti dimensionali, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966 e il tentativo obbligatorio di conciliazione disciplinato dal successivo art. 7: ovviamente, restano salve le ipotesi, ripetute nell’attuale comma 5, che fanno riferimento ai cambi di appalto, alla cessazione di attività, agli accordi collettivi finalizzati ai recessi per risoluzioni consensuali ed al fallimento senza alcuna prosecuzione di attività.

Divieto di licenziamento nel decreto Sostegni bis
Questa lunga premessa appare, a mio avviso, utile per comprendere la portata della norma contenuta nel D.L. n. 73 del 2021.
Dal 1° luglio 2021 resta confermato che in presenza di eccedenze di personale, le imprese che ricadono nel campo di applicazione della Cassa integrazione, possono procedere a riorganizzazioni aprendo (o continuando, se già iniziate e, poi, sospese ex lege) procedure individuali e collettive, ma se intendono far ricorso agli ammortizzatori sociali, tale prerogativa viene sospesa per il periodo decorrente dalla presentazione della domanda e fino alla conclusione del trattamento fruito: il tutto, senza pagamento di alcun contributo addizionale e fino al 31 dicembre 2021.
La prima considerazione da fare riguarda il “blocco condizionato” dei licenziamenti per motivi economici: in passato, esso aveva trovato una sua giustificazione nel fatto che lo Stato, con l’ammortizzatore COVID, si era caricato il costo della permanenza in azienda del personale eccedentario: qui, invece, “il blocco” , in caso di ricorso alla integrazione salariale (con tutte le regole abbastanza forti, presenti nelle varie ipotesi previste dal D.L.vo n. 148/2015), scatta soltanto a fronte del costo, a carico dell’Erario, del solo contributo addizionale previsto dall’art. 5. Ovviamente, nel caso in cui un’azienda dovesse aprire un procedura collettiva di riduzione di personale, si troverebbe, presumibilmente, ad affrontare, nel corso dell’iter, le resistenze, se non l’opposizione, delle organizzazioni sindacali, che chiederebbero, il ricorso ad uno degli ammortizzatori disciplinati dal D.L.vo n. 148/2015 o, in alternativa, a quello “nuovo e temporaneo”, previsto dal comma 1 dell’art. 40 del D.L. n. 73, sul quale mi soffermerò più avanti.
La seconda riflessione concerne quelle aziende che hanno più unità produttive ubicate in territori ed ambiti regionali diversi: il comma 4 fa riferimento “al datore di lavoro”. Ciò significa, stando al tenore letterale della norma, che la richiesta e la successiva fruizione di ammortizzatori ex D.L.vo n. 148/2015 per una sola unità produttiva produce il “blocco” dei licenziamenti nell’impresa nel suo complesso.
La terza considerazione riguarda la durata del blocco: chi ha scritto la disposizione, probabilmente, aveva presenti richieste di crisi aziendale o di riorganizzazione (quindi CIGS) con interventi abbastanza lunghi: si dà il caso che questi ultimi potrebbero essere molto più brevi se si prendono in considerazioni le causali per l’integrazione ordinaria previste dall’art. 11 che si riferiscono a:
· Situazioni aziendali dovute ad eventi di natura transitoria e non imputabili all’impresa od ai lavoratori, incluse le intemperie stagionali. Tra di esse rientrano, senz’altro, la mancanza di lavoro intesa come mancanza o rarefazione di commesse, la crisi di mercato, la mancanza di materie prime non dipendente da inadempienze contrattuali, l’interruzione di energia elettrica dovuta a fatto dell’Ente erogatore, incendio, eventi naturali diversi dalle intemperie (ad esempio, alluvioni, terremoti, ecc.), incendi, sciopero “a monte” con mancanza di materie necessarie per la lavorazione, guasti di macchinari (nonostante la ordinaria manutenzione), perizia di variante o suppletiva dipendente da fatti imprevedibili, ordine di pubblica autorità non ascrivibile a comportamento inadempiente dell’imprenditore come, ad esempio, la sospensione dell’attività imprenditoriale ex art. 14 del D.L.vo n. 81/2008;
· Situazioni temporanee di mercato, come la crisi che non deve dipendere da mancanze strutturali dell’impresa.
Un’altra questione da evidenziare riguarda i lavoratori con contratto a tempo determinato: l’art. 19-bis del Cura Italia (D.L. n. 18/2020) aveva previsto, attraverso una norma di interpretazione autentica, mediante una sospensione temporanea di tre disposizioni inserite nel D.L.vo n. 81/2015, la possibilità di rinnovare o prorogare i contratti a tempo determinato o in somministrazione a termine le cui integrazioni salariali sarebbero state coperte dagli ammortizzatori COVID-19. A meno che in sede di conversione non avvenga uno specifico chiarimento, il prolungamento di tali contratti non sarà possibile in quanto, per il D.L.vo n. 148/2015, il trattamento di sostegno cessa alla scadenza del contratto.
Ma da che momento scatta il blocco dei licenziamenti? Esso opera dal momento in cui, come detto in precedenza, viene presentata l’istanza di integrazione salariale, in via telematica: di conseguenza, gli eventuali recessi adottati prima restano fuori e per una eventuale impugnativa degli stessi occorrerà rifarsi alle norme che, li disciplinano.

Ma le possibili novità non si fermano qui.
Contratto di solidarietà difensivo “personalizzato”
L’art. 40, comma 1, prevedendo tale strumento in alternativa alle integrazioni salariali del D.L.vo n. 148/2015, ha previsto una sorta di contratto di solidarietà difensivo “personalizzato” (senza alcun contributo addizionale), per quelle imprese che, nel raffronto tra il fatturato del primo semestre del 2019 e quello dello stesso periodo del 2021, hanno subito un calo di almeno il 50%.
La norma postula un accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (anche territoriali) o con le “loro” RSA o la RSU finalizzato al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa dell’attività, con deroga agli articoli 4 e 21 del D.L.vo n. 148/2015, per un massimo di 26 settimane nel periodo compreso tra il 26 maggio ed il 31 dicembre 2021.
Senza entrare nello specifico della norma che prevede sia percentuali di riduzione dell’attività dei singoli lavatori, che modalità di riferimento per l’individuazione della retribuzione alla base del trattamento integrativo, che condizioni per la progressiva diminuzione delle integrazioni in presenza di una maggiore attività, è opportuno sottolineare, per quel che interessa questa trattazione, è che durante tale periodo non è possibile procedere a licenziamenti (si parla di mantenimento dei livelli occupazionali), fatte salve le risoluzioni consensuali frutto di accordi collettivi. D’altra parte, mi sembra che tale richiamo normativo sia in linea con l’ultimo comma dell’art. 4 del D.M. n. 94033, laddove, parlando dei contratti di solidarietà difensiva “normali”, si lascia aperta la possibilità, in presenza di una procedura collettiva di riduzione di personale, di attivare il solo criterio del “licenziamento non oppositivo”, ossia delle risoluzioni consensuali di cui parlano gli accordi collettivi ammessi, in questo frangente, dal Legislatore.

Fonte: IPSOA



Fonte : Studio Balillo