Dimissioni telematiche: quando una tutela diventa una trappola

21 Maggio, 2018   |  

Dal 12 marzo 2016 per effetto dell’entrata in vigore del Decreto Ministeriale del 15 dicembre 2015, attuativo del Decreto Legislativo 151/2015, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale si effettuano, obbligatoriamente e a pena di nullità, in modalità telematica.

Il lavoratore che intende cessare il suo rapporto di lavoro per motivi personali o in accordo con il datore di lavoro può procedere, autonomamente, all’invio telematico attraverso il portale clic lavoro, utilizzando le proprie credenziali e l’accesso come cittadino o attraverso la “App” messa a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, accedendo con credenziali Spid. In alternativa, il lavoratore potrà avvalersi di un soggetto abilitato all’inoltro della pratica, patronati, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione e, per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs.185/2016, potrà recarsi anche presso un Consulente del Lavoro o le sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Restano fuori dal campo di applicazione della normativa:
Il lavoro domestico;
I casi di risoluzione a seguito di conciliazione stragiudiziale;
Le ipotesi di convalida presso l’ITL previste dall’art.55 comma 4 del D.Lgs. 151/2001, relativa ai genitori lavoratori;
I rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni ai sensi del Decreto Legislativo n.185 del 24 settembre 2016.

La norma, pensata per debellare il fenomeno delle dimissioni in bianco, presenta delle criticità, segnalate sin dalla sua entrata in vigore, che ad oggi restano irrisolte.

La carenza della norma riguarda le ipotesi per cui un lavoratore, che abbia espresso la sua volontà ad interrompere un rapporto di lavoro, anche se manifestata verbalmente o per iscritto, ma che successivamente non ne abbia concretamente dato seguito con la procedura telematica, deve, necessariamente essere licenziato, con tutte le conseguenze collegate:
Pagamento del ticket di licenziamento a carico del datore di lavoro;
Pagamento della Naspi, in favore del lavoratore, a carico dell’INPS.

Per una carenza di attuazione della norma si innesca quindi un meccanismo a catena, il lavoratore dipendente per assurdo, meno fa e più benefici ottiene. Lasciando semplicemente decantare la situazione si ritroverà con un licenziamento, grazie al quale potrà beneficiare dell’indennità a sostegno del reddito. Di contro l’azienda subirà un danno economico inevitabile, stante l’attuale normativa, così come le casse dello Stato, che subiranno la condotta del lavoratore e la conseguente erogazione di una prestazione assistenziale, di cui di fatto il lavoratore non avrebbe diritto.

Sono passati ormai più di due anni dall’attuazione delle dimissioni telematiche e abbiamo dati sufficienti per dimostrare che quello che inizialmente appariva una criticità, oggi è diventato un problema reale.

Certamente lavoratori onesti che ancora danno seguito alla parola data esistono, non lo si mette in dubbio, ma la prassi sempre più consolidata è imbattersi in situazioni di ricerca del riconoscimento della Naspi non dovuta, senza avere via d’uscita.

A porre rimedio a tutto questo danno economico che grava sulle Aziende e sullo Stato, basterebbe la reintroduzione delle dimissioni per fatti concludenti. Accertato che hai intenzione di dimetterti, hai la possibilità di procedere alla conclusione della pratica o diversamente di riprendere tempestivamente servizio e dare seguito al rapporto di lavoro in essere, in mancanza e prendendo atto delle evidenze dei fatti, si dovrebbe poter procedere alle dimissioni per fatti concludenti.

I dati dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti, sono due anni che i datori di lavoro e i loro consulenti segnalano questa anomalia. Non è pensabile che per una tutela di un lavoratore, per quanto legittima, si debba creare un danno erariale e nei confronti delle imprese. Tutele sì, ma con criterio.



Fonte : Fiscal Focus