DIETROFRONT DELLA CASSAZIONE SULLA VIDEOSORVEGLIANZA

2 Giugno, 2017   |  

Con la sentenza n. 22148 depositata l’8 maggio 2017, la Terza sezione penale conferma la condanna alla pena di € 600 di ammenda per la datrice di lavoro rea di aver installato, all’interno di un negozio di scarpe, due telecamere senza il preventivo passaggio in sede sindacale e senza l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

A nulla è valsa l’obiezione della ricorrente che ha invocato l’efficacia scriminante del consenso prestato (seppur oralmente) dai lavoratori all’installazione dell’impianto di video sorveglianza.

In precedenza (sentenza n. 22611 dell’11 giugno 2012) la Suprema Corte aveva negato la configurabilità dell’illecito penale in parola qualora, pur in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, l’installazione delle telecamere fosse preceduta dalla sottoscrizione di un apposito documento autorizzativo da parte della totalità dei dipendenti (e non soltanto da una loro rappresentanza); secondo gli Ermellini “plus semper in se continet quod est minus”

Oggi la Suprema Corte cambia orientamento adottando una visione più restrittiva: il consenso (scritto od orale) prestato dai lavoratori non salva il datore di lavoro che abbia installato impianti audiovisivi senza aver prima raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali ovvero senza l’approvazione amministrativa.  Secondo i Giudici di Piazza Cavour la condotta datoriale in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori comporta la lesione di interessi di carattere collettivo e superindividuale di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici.

L’inderogabilità delle garanzie procedurali apprestate dalla norma statutaria trova giustificazione nell’asimmetria che caratterizza i rapporti di lavoro: da una parte la posizione dominante del datore di lavoro dall’altra la debolezza contrattuale del lavoratore subordinato. Proprio per bilanciare questo “squilibrio” ed evitare che il lavoratore possa rendere un consenso viziato (magari dal timore della mancata assunzione) il legislatore ha affidato la tutela degli interessi individuali ad un soggetto terzo (rappresentanze sindacali/DTL).

La Corte prosegue nel suo ragionamento ravvisando nella condotta datoriale de quo un comportamento antisindacale che deve essere represso e sanzionato nei modi indicati dall’art. 28 L. 300/1970.



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