Una disamina approfondita delle novità sull’integrazione salariale contenute nel cosiddetto Decreto Rilancio.
Attraverso il D.L. 19 maggio 2020, n. 34, pubblicato sul S.O. n. 21/L alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 19 maggio 2020, l’Esecutivo, cerca di correggere le criticità emerse, soprattutto, con il D.L. n. 18/2020 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 e, contemporaneamente, riconduce nell’alveo della integrazione salariale “COVID-19” il settore agricolo che ne era, sostanzialmente, rimasto fuori, e che vi era rientrato sulla scorta di alcuni adattamenti amministrativi contenuti nella circolare INPS n. 47, alla quale va dato atto di aver “coperto” , nel periodo antecedente l’emanazione del Decreto Legge, un vuoto normativo.
Il Governo, attraverso un’opera di limatura delle disposizioni e con l’introduzione di alcune novità che hanno riguardato i singoli articoli, relativi all’integrazione salariale ordinaria, all’assegno ordinario del FIS, al sostegno dei Fondi bilaterali alternativi ed alla Cassa in deroga (nonché alla CISOA, richiamata, per legge, per la prima volta), ha ridisegnato gli ammortizzatori, con una particolare attenzione alla CIG in deroga ove, le Regioni, di comune accordo con l’Esecutivo, vengono tagliate “fuori” e tutta la gestione viene affidata all’INPS.
L’analisi che segue tratterà unicamente le novità intervenute.
Ma, andiamo con ordine cercando di focalizzare l’attenzione su alcuni passaggi controversi per cercare, se possibile, di chiarire alcune criticità.
Con l’art. 68 si interviene sul comma 1 dell’art. 19 stabilendo che la sospensione dell’attività o la riduzione di orario riguarda eventi riconducibili al COVID-19 e che la durata massima complessiva di fruizione (da computare per unità produttiva secondo le regole amministrative stabilite con la circolare INPS n. 58/2009 che opera una distinzione tra settimana corta – 5 giorni – o lunga – 6 giorni) è di diciotto settimane così suddivise:
La ragione di tale “spacchettamento” risiede nel fatto che si vuole evitare la corsa dei datori di lavoro finalizzata a chiedere l’integrazione salariale per l’intero periodo: si tratta di una sorta di filtro con cui si cerca di evitare lo sforamento del “plafond” delle risorse disponibili che ammontano a poco più di 15 miliardi di euro che, tra l’altro, servono a coprire anche “disavanzi” della gestione del primo periodo di cassa COVID-19.
Prima di proseguire nell’esame delle novità introdotte ritengo opportuno focalizzare l’attenzione sul computo delle settimane. Ho fatto riferimento alla circolare n. 58/2009 con la quale (si era durante la crisi economica originata da Lehman & Brothers), su sollecitazione del Governo, l’INPS introdusse una certa dose di flessibilità nel calcolo della settimana affermando che, a prescindere dal numero dei dipendenti che ne usufruiscono, una settimana, riferita all’unità produttiva, si riteneva “goduta” se si raggiungeva la soglia dei 5 o 6 giorni, a seconda della dislocazione oraria settimanale. Tali concetti sono stati ribaditi con il messaggio n. 2101 del 21 maggio 2020 e confermati, quasi ce ne fosse bisogno, per la causale COVID-19. È stato, tra le altre cose, predisposto un file Excel attraverso il quale il datore di lavoro al termine del periodo richiesto, conteggia i giorni di fruizione da inserire nelle singole settimane e, in caso di necessità, qualora non abbia raggiunto il “plafond” assegnato, può chiedere le settimane o i giorni mancanti. Ricordo, per chiarezza espositiva, che una giornata si considera fruita anche se ad essere integrato è un solo lavoratore e per un’ora soltanto. Il messaggio n. 2101 offre la possibilità di duplicare l’istanza per COVID-19 attraverso una procedura che semplifica i passaggi: nulla dice il messaggio relativo alle mensilità non fruite del FIS, ma si ha motivo di ritenere che valgano le stesse regole, anche se sarebbe opportuna una nota di assenso da parte dell’Istituto. C’è, poi, la questione, forse secondaria, di quelle imprese che lavorano su sette giorni ove la previsione del riposo per i lavoratori scatta in un giorno diverso dalla domenica. L’INPS, ufficialmente, non ha, finora, trattato la questione ma, informalmente, in un incontro con il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, ha affermato, attraverso i propri tecnici, che i contenuti della circolare n. 58/2009 non si cambiano e che i datori di lavoro debbono trasferire le ore integrabili la domenica in quello ove i lavoratori fruiscono dei loro giorni di riposo settimanale.
Nel corso dell’incontro sopra citato è stato, inoltre, chiarito che:
Tornando alle novità inserite nel comma 1 dell’art. 19 occorre sottolineare come venga risolto un problema che ha angustiato gli operatori durante la prima fase: esso riguardava l’assenza degli assegni familiari per i lavoratori beneficiari dell’assegno ordinario previsto dal Fondo di integrazione salariale (FIS): ora, la questione è stata, giustamente, risolta con il riconoscimento degli stessi. Si ha motivo di ritenere che esso riguardi anche i periodi antecedenti il 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del D.L. n. 34.
Altra novità riguarda il primo periodo del comma 2: dopo che il Legislatore, modificando il precedente testo, peraltro approvato in sede di conversione del D.L. n. 18/2020, aveva eliminato per la richiesta di integrazione salariale qualunque riferimento a procedure di informazione, consultazione ed esame congiunto previste dall’art. 14 del D.L. vo n. 148/2015, il Governo con una frase, un po’ contorta, lo ha reintrodotto. Infatti, con l’inserimento di una frase al termine del primo periodo il comma 2 dell’art. 19 ora recita: “ I datori di lavoro che presentano la domanda di cui al comma 1 sono dispensati dall’osservanza dell’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015, e dei termini del procedimento previsti dall’art. 15, comma 2, nonché dell’art. 30, comma 2, del medesimo decreto legislativo per l’assegno ordinario, fermo restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva”.
Come va interpretata la disposizione?
Secondo alcuni l’obbligo di informazione e consultazione riguarderebbe anche la CIGO oltre al FIS (e di tale parere sono anche alcune associazioni datoriali) ma la relazione illustrativa del Governo, di accompagnamento del provvedimento sembra propendere per una interpretazione che correla l’informazione, a consultazione e l’esame congiunto, soltanto per le richieste da avanzare al FIS.
In ogni caso non si capisce la ragione sia della reintroduzione totale (che pare esclusa dal dettato letterale della relazione illustrativa) che di quella parziale, prevista unicamente per la procedura FIS.
Sempre al comma 2, con l’eliminazione della parola “quarto” il Governo cambia i termini per la presentazione delle istanze per la CIGO e per il FIS: non più “entro il quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività” ma entro il mese successivo, fermo restando che la domanda non è soggetta ai requisiti previsti dall’art. 11 del D.L.vo n. 148/2015, ossia alle causali specifiche determinate da situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili al datore di lavoro o ai dipendenti, o a situazioni specifiche di mercato.
La modifica appena introdotta va vista in una logica di accelerazione delle istanze di integrazione: si vuole, nella sostanza, fare in modo che i tempi non costituiscano alibi per un pagamento diluito nel tempo delle erogazioni economiche in favore dei lavoratori. Tale concetto si chiarisce con l’introduzione di nuove disposizioni con i commi successivi.
Il comma 2-bis, infatti, afferma che se l’istanza viene presentata oltre il termine sopra indicato (che ha, quindi, natura perentoria) il trattamento di integrazione salariale non può aver luogo per periodi antecedenti ad una settimana rispetto alla data di presentazione: è questo un invito pressante al datore di lavoro a far presto, atteso che il ritardo genererebbe una responsabilità dello stesso nei confronti dei propri dipendenti che non si vedrebbero riconosciuti i periodi precedenti. Tale accelerazione si riscontra anche nel successivo comma 2-ter ove si modifica il termine di presentazione delle istanze di CIGO o di FIS relative al periodo 23 febbraio – 30 aprile: ora il termine ultimo di presentazione è il 31 maggio e l’eventuale “scavallamento” della data ha la stessa conseguenza prevista al comma precedente, ossia il trattamento integrativo potrà retrocedere soltanto di una settimana.
Per le ipotesi di CIGO e di FIS ove viene richiesto il pagamento diretto, esiste una procedura accelerata con un anticipo del 40% del totale sulla quale mi soffermerò più avanti.
Con il comma 3-bis il Legislatore rimargina una ferita della normativa precedente, peraltro, coperta parzialmente dalla circolare INPS n. 47/2020: quella relativa alla CISOA, la cassa integrazione del settore agricolo che viene gestita sulla base di disposizioni particolari contenute nella legge n. 457/1972 che tengono conto della specificità del mondo agricolo: qui, nella maggior parte dei casi, l’integrazione salariale prevista dall’art. 8 è per maltempo, pur se la norma la correla anche a cause “non imputabili al datore di lavoro ed ai lavoratori”. Il trattamento integrativo, per causale COVID-19, è “neutro” rispetto al tetto massimo e viene erogato fino a 90 giornate tra il 23 febbraio ed il 31 ottobre e, comunque, con un termine ultimo fissato al 31 dicembre. Il Governo si pone l’esigenza di velocizzare, anche in questo caso, il rilascio dell’autorizzazione: di qui una deroga all’iter normale, atteso che quest’ultima viene rilasciata dal Direttore territoriale dell’INPS e non dalla commissione ove, oltre al Dirigente della sede, sono presenti le parti sociali ed il Capo dell’Ispettorato territoriale del Lavoro che la presiede. Cambiano anche i termini per la presentazione dell’istanza: essa va presentata entro la fine del mese successivo a quello in cui è iniziata la sospensione o riduzione di orario. Anche in questo caso vengono individuati momenti di velocizzazione dell’iter in quanto anche le domande per le sospensioni avvenute tra il 23 febbraio ed il 30 aprile come per la CIGO ed il FIS vanno presentate entro il 31 maggio. Per i lavoratori di aziende del settore agricolo ove non trova applicazione la CISOA, la domanda di integrazione salariale può essere presentata alla Cassa in deroga ex art. 22.
L’art. 68 termina con alcune disposizioni tecniche (commi 6-bis e 6-ter) che concernono le modalità per la suddivisione delle risorse economiche ai Fondi bilaterali.
Con l’art. 69 l’Esecutivo interviene sulla norma già contenuta nell’art. 20 del D.L. n. 18/2020 che offre alle imprese che stanno fruendo della CIGS, di modificare la ragione della integrazione salariale straordinaria in integrazione salariale ordinaria per un determinato periodo con causale COVID-19. Ricordo, brevemente, che l’istanza va presentata alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro la quale sospende, con proprio decreto, la CIGS e lo invia alla struttura dell’INPS territorialmente competente per gli adempimenti conseguenti. Il periodo di COVID-19 viene neutralizzato e non è soggetto ad alcun contributo addizionale. Le modifiche introdotte riguardano i termini di fruizione dell’integrazione salariale che sono gli stessi che sono stati individuati per la CIGO ed il FIS: il periodo è di nove settimane tra il 23 febbraio ed il 31 agosto, incrementate di ulteriori cinque per i datori di lavoro che hanno raggiunto nello stesso periodo il tetto massimo. È possibile fruire di altre quattro settimane nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 31 ottobre fruibili secondo la procedura prevista ex art. 70 sulla quale mi soffermerò più avanti. Sul punto, richiamo le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8/2020.
Con l’art. 70 si entra nell’argomento “CIG in deroga” che, in questa prima fase di applicazione della causale COVID-19, ha presentato le maggiori difficoltà a fronte di un iter che vede, coinvolte, a vario titolo, le parti sociali, le Regioni e l’INPS, con una serie di adempimenti che hanno causato ritardi e proteste da parte dei lavoratori che, a distanza di mesi, debbono ancora ottenere le erogazioni economiche loro spettanti. Senza voler, in alcun modo, gettare la “croce” su nessuno è opportuno ricordare come, a fronte della grave crisi epidemiologica e la conseguente chiusura di ogni attività produttiva e commerciale, il Governo si sia trovato a fronteggiare la situazione con i mezzi a disposizione e, quindi, anche con la CIG in deroga che, negli ultimi anni, ha riguardato crisi settoriali o locali, ove l’intervento della Regione aveva una specifica funzione: qu ci si è trovati di fronte ad una pandemia che ha coinvolto milioni di persone ed il sistema è andato “in tilt”.
Queste sono le modifiche introdotte:
Con l’art. 71 vengono introdotte ulteriori modifiche in tema di integrazione salariale con l’introduzione nel “corpus” del D.L. n. 18/2020 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27, di specifici articoli.
Si inizia con l’art. 22-ter attraverso il quale viene istituito un apposito Fondo nell’ambito dello stato di previsione del Ministero del Lavoro con una dotazione per il 2020 di 2.740,8 milioni di euro che, per esigenze specifiche, potranno essere trasferiti all’INPS ed ai Fondi bilaterali ex articoli 26 e 27 del D.L. vo n. 148/2015.
Con l’art. 22 -quater si entra, nel cuore, delle novità introdotte con il D.L. n. 34/2020.
Per la Cassa in deroga con causale COVID-19 non c’è più il “passaggio obbligatorio” presso le Regioni che dovevano vagliare la congruità della istanza alla luce dei singoli accordi-quadro (anche molto diversi tra loro) ma, per i periodi successivi alle nove settimane già riconosciuti dai singoli Enti regionali, a partire dal giorno 19 maggio, data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2020, la domanda del datore di lavoro va indirizzata direttamente all’INPS che la approva nei limiti delle risorse già stanziate. Tale regola vale per tutto il territorio nazionale con la sola eccezione delle Province Autonome di Trento e Bolzano ove resta in vigore l’iter già previsto dall’art. 22, commi 1 e 5, del D.L. n. 18/2020.
In perfetto “pendant” con quanto già detto per la CIGO ed il FIS, i datori di lavoro possono chiedere altre cinque settimane nel periodo che va fino al 31 agosto, a condizione che abbiano raggiunto il tetto massimo di fruizione antecedente (nove settimane oltre per le ex “zone rosse e gialle” dei periodi già riconosciuti dai D.L. n. 9/2020 e n. 18/2020).
Ma come si attiva l’iter?
Esso inizia con la domanda del datore di lavoro che deve, unicamente, essere accompagnata dalla lista dei lavoratori beneficiari con l’indicazione delle ore di sospensione per ciascun beneficiario nel periodo autorizzato. Ovviamente, quanto mai opportuna, appare una nota chiarificatrice dell’Istituto finalizzata alla individuazione ben precisa dei passaggi procedurali che non contemplano, peraltro, alcuna allegazione relativa ad incontri sindacali eventualmente svolti. L’INPS monitora, continuamente la spesa e, nel caso in cui si evidenzi un superamento del tetto massimo di spesa, è autorizzata a non emettere alcun provvedimento concessorio.
La istanza di concessione può essere trasmessa alla sede territoriale competente dell’Istituto entro i trenta giorni successivi al 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2020 (in tale arco temporale l’INPS procederà senz’altro a fornire le proprie indicazioni): in ogni caso, trascorso tale periodo la domanda va trasmessa entro la fine del mese successivo a quello in cui è iniziata la sospensione o la riduzione di orario
Per i datori di lavoro con unità produttive ubicate in almeno 5 regioni o Province Autonome (il numero si ricava dall’art. 2 del D.M. 24 marzo 2020 “concertato” tra Lavoro ed Economia) viene confermato il percorso che prevede una richiesta datoriale al Ministero del Lavoro, Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione: sul punto, si sono dilungati sia la circolare n. 8 del Ministero che la n. 58/2020 ove, come detto in precedenza, si riscontra un eccesso di adempimenti burocratici.
Con il comma 4 si registrano alcune grosse novità che riguardano il pagamento degli importi: tale procedura riguarda anche a CIGO ed il FIS. I datori di lavoro che si avvalgono del pagamento diretto (le imprese che si avvalgono della procedura ministeriale possono procedere con l’anticipazione e successivo conguaglio) debbono, entro 15 giorni dall’inizio della sospensione o della riduzione di orario, avanzare specifiche istanze all’Istituto, corredate dai dati essenziali per il calcolo e l’erogazione di una anticipazione delle prestazioni ai lavoratori: l’INPS si riserva di indicare le modalità applicative. Ricordo che per la causale COVID-19 non sono previsti gli usuali accertamenti che, in genere, si richiedono per il pagamento diretto sulla base delle previsioni contenute nell’art. 7 del D.L. vo n. 148/2015. L’anticipazione di parte del trattamento, calcolato sul 40% delle ore autorizzate per l’intero periodo, avviene entro i 15 giorni successivi all’arrivo delle istanze. I datori di lavoro sono tenuti, successivamente a trasmettere all’Istituto dati completi attraverso il modello “SR41” ogni mese, con riferimento al mese precedente nel quale c’è stata la fruizione dell’integrazione in deroga: sulla base di questi si procede al saldo o, se non dovuti, al recupero degli “esborsi” anticipati (credo che, su questo punto, l’Istituto incaricherà il datore di procedere al recupero). C’è, poi, la questione delle CIG in deroga già autorizzate dalle singole Regioni per il periodo intercorrente tra il 23 febbraio ed il 30 aprile e che debbono essere erogate attraverso il pagamento diretto ai lavoratori: i datori che non vi abbiano già provveduto, lo debbono fare entro il termine perentorio di 20 giorni decorrenti dal 19 maggio, data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2020. Il trattamento viene riconosciuto al netto delle risorse già destinate alle Regioni a valere sul medesimo limite di spesa, limitatamente ai dipendenti in forza al 25 marzo 2020.
Con i commi 5 e 6 vengono emanate disposizioni finalizzate alla suddivisione delle risorse complessive attraverso un Decreto “concertato” tra Lavoro ed Economia da varare entro 15 giorni, decorrenti dall’entrata in vigore delle nuove norme: termine che scade il 3 giugno 2020.
Il successivo art. 22-quinquies si occupa delle modifiche relative al pagamento diretto sia della CIGO che dell’assegno ordinario stabilendo che le richieste presentate all’Istituto a decorrere dal 18 giugno 2020, vengono uniformate, per la procedura, all’iter già individuato dall’art. 22-quater, comma 3.
Con una disposizione contenuta nell’art. 98, comma 3, la possibilità della fruizione della Cassa in deroga è stata riconosciuta anche in favore degli sportivi professionisti iscritti al Fondo Pensione Sportivi Professionisti con retribuzione annua lorda non superiore a 50.000 euro. Ci si trova di fronte, quindi, a lavoratori subordinati che hanno sottoscritto un contratto ex lege n. 91/1981: ovviamente, il discorso non riguarda quegli atleti o allenatori professionisti i cui emolumenti sono ben superiori a tale cifra. La norma dispone che il periodo riconosciuto è per un massimo di nove settimane ed è attivabile attraverso la richiesta del datore di lavoro: l’istanza, con le novità introdotte con il D.L. n. 34/2020 va presentata all’INPS. L’Istituto dovrà, a mio avviso, fornire specifiche indicazioni, in quanto non è stato previsto l’arco temporale di fruizione (probabilmente, lo stesso degli altri lavoratori) e non è stata prevista alcuna possibilità di prolungamento (non ci sono le ulteriori cinque settimane, in caso di sforamento del “plafond” e neanche le quattro settimane ulteriori). Vedremo se in sede di conversione, saranno apportate modifiche ad un beneficio specifico per il quale è previsto un finanziamento nel limite massimo di 21,1 milioni di euro per l’anno 2020.
Infine, con una disposizione che, di per se stessa non rientra nella causale COVID-19 ma che, a mio avviso, va citata per completezza di informazione, ricordo che l’art. 87 del D.L. n. 34/2020 ha previsto ulteriori risorse residue per trattamenti di integrazione salariale in deroga rivolti ai lavoratori ed alle imprese in crisi, anche in aree complesse, alle quali si riferisce l’art. 1, comma 251, della legge n. 145/2018. Ebbene, per i lavoratori che non fruiscono più dell’intervento in deroga già dal periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 ed il 31 dicembre 2018 e che non hanno diritto alla NASPI viene riconosciuta, nel limite massimo di dodici mesi con un termine, comunque, già fissato al 31 dicembre 2020, in continuità con la prestazione di CIG in deroga, una indennità, non soggetta a riduzione, pari al trattamento di mobilità in deroga, comprensiva della contribuzione figurativa.