Trasferimento del lavoratore illegittimo: quali conseguenze per l’azienda?

Il potere direttivo e organizzativo previsto dalla legge in capo al datore di lavoro dà la possibilità a quest’ultimo di trasferire il lavoratore in un’altra sede. Questa scelta deve essere motivata da ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Ulteriori limiti e condizioni sono stabiliti da alcune leggi speciali e dai contratti collettivi di settore. Secondo la giurisprudenza, poi, affinché il trasferimento sia legittimo, è necessario che il datore dimostri: l’inutilità del dipendente nella sede di provenienza, la serietà delle ragioni della decisione, la necessità della presenza del dipendente, con la sua professionalità, nella sede di destinazione. Come occorre comunicare il trasferimento? Qual è il trattamento retributivo del lavoratore trasferito? Ma, soprattutto, quali conseguenze per il datore in caso di trasferimento illegittimo?
Nell’ambito del potere direttivo e organizzativo in capo al datore di lavoro, è ammessa, da parte di quest’ultimo, la possibilità di modificare unilateralmente uno degli elementi essenziali del contratto di lavoro subordinato ovvero il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa – sede di lavoro.
Spostamento che può essere temporaneo (trasferta) ovvero definitivo (trasferimento).
Entrambi gli istituti rientrano nel potere unilaterale, ma, nel caso del trasferimento, il lavoratore non ha diritto alle spese sostenute per raggiungere la nuova sede di lavoro. A meno che il trasferimento non sia dichiarato illegittimo. In questo caso, secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 18903 del 2025, il lavoratore ha diritto al risarcimento delle stesse a titolo di danno patrimoniale subito.

Trasferimento del lavoratore e sua legittimità

Qualora il datore di lavoro intenda modificare definitivamente la sede di lavoro, e tale scelta può essere motivata da molteplici fattori, la legge (art. 2103, c.c.) subordina la validità dell’atto unilaterale alla sussistenza di specifici requisiti; in particolare, l’art. 2103, co. 8, c.c., stabilisce che il trasferimento da una unità produttiva a un’altra possa avvenire se non a seguito di comprovate ragioni tecnicheorganizzative e produttive, fermo restando che ulteriori limiti e condizioni possono essere rilevabili da alcune leggi speciali, oltre che dai contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro.
La normativa e la eventuale disciplina collettiva deve essere analizzata con quella che è la posizione della giurisprudenza, secondo la quale, affinché l’atto del trasferimento sia legittimo, è necessario che il datore di lavoro dimostri:
1. l’inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
2. la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni;
3. la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione.
È da considerare, inoltre, che la legge richiede la sussistenza di ulteriori requisiti qualora il trasferimento riguardi particolari lavoratori in determinate situazioni soggettive.
In particolare:
– il trasferimento di un componente della R.S.U. o di un dirigente R.S.A. richiede il nulla osta preventivo dell’associazione sindacale di appartenenza;
– il trasferimento di un lavoratore che assiste con continuità un familiare portatore di handicap (legge n. 104/1992) può avvenire con il consenso del lavoratore.

Comunicazione del trasferimento

Nel silenzio dell’art. 2103, c.c., si ritiene che la forma del provvedimento di trasferimento sia del tutto liberasalvo che la contrattazione collettiva non disponga diversamente, nel qual caso la forma si presume richiesta ad substantiam.
Sempre se non diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha nemmeno l’obbligo di comunicarne le ragioni giustificatrici, ma secondo la giurisprudenza, su richiesta del lavoratore, il datore di lavoro deve dare comunicazione al lavoratore dei motivi del trasferimento, al fine di consentire allo stesso di valutare l’opportunità di una eventuale impugnazione.
La legge non richiede un termine di preavviso per il trasferimento, che, tuttavia, in mancanza di una previsione contrattuale, sembrerebbe ricavabile, salvo casi di particolare urgenza, dal principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.
La violazione dell’obbligo contrattuale di preavviso non comporta in ogni caso l’invalidità del trasferimento, ma solo il differimento dell’efficacia del provvedimento.

Trattamento retributivo del lavoratore trasferito

Per quanto riguarda gli impatti da un punto di vista retributivo, il lavoratore trasferito:
– ha diritto a percepire l’ordinaria retribuzione in essere al momento del trasferimento, salvo l’eventuale adibizione di mansioni diverse che prevedono livelli di inquadramento superiore;
– non ha diritto al pagamento delle ore di viaggio, in quanto non si tratta di uno spostamento temporaneo come la trasferta, ma di un trasferimento definitivo di sede di lavoro;
– non ha diritto all’esenzione fiscale e previdenziale in caso di rimborso delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto, in quanto non si tratta di uno spostamento temporaneo, ma, bensì, di una nuova sede di lavoro.

Conseguenze in caso di trasferimento illegittimo

Qualora il trasferimento fosse illegittimo, il rifiuto allo stesso da parte del lavoratore sarebbe legittimo. In questo caso, a norma dell’art. 2103, c.c., l’atto deve considerarsi nullo, con inadempimento parziale del contratto di lavoro.
Conseguentemente:
– il rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia in forza dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460, c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti;
– nel caso poi che il giudice accerti l’illegittimità del trasferimento, il lavoratore ha diritto al mantenimento dell’originaria sede di lavoro ovvero al reintegro, se ha prestato ottemperanza all’ordine illegittimo del datore di lavoro. Il reintegro, però, non può essere coattivamente imposto al datore di lavoro, che, se non vi provvede, è tenuto al risarcimento del danno.
È inoltre da considerare che l’eventuale illegittimità del trasferimento ha impatti anche da un punto di vista retributivo.
Con la recente sentenza n. 18903/2025, la Cassazione ha stabilito che, in caso di trasferimento dichiarato giudizialmente illegittimo, il lavoratore ha diritto a vedersi riconosciute le spese di viaggio sostenute per raggiungere la nuova sede durante il periodo di adibizione alla stessa. In giudizio, il lavoratore aveva richiesto il riconoscimento del rimborso chilometrico per il tragitto casa – nuova sede di lavoro, nonché delle ore di viaggio così come previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.
Secondo la Cassazione:
– il tempo di trasferimento dalla residenza alla sede di lavoro, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003, non può rilevare quale tempo di lavoro ed essere retribuito;
– per il rimborso chilometrico, lo stesso non spetta in quanto il CCNL lo subordina solo alle trasferte ovvero per le missioni in località diverse da quelle della sede di lavoro;
– spetta, invece, il risarcimento delle spese di viaggio sostenute dal lavoratore a fronte del trasferimento illegittimo, a titolo di danni patrimoniali subiti, con onere della prova in capo al datore di lavoro di dimostrare che il lavoratore avrebbe potuto ridurre le conseguenze dannose utilizzando i mezzi pubblici senza eccessiva gravosità.
Simone Baghin

17 Settembre 2025


Fonte : WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro