Madri e padri nel periodo protetto: dimissioni da confermare anche nel periodo di prova

Con la nota n. 14744 del 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito chiarimenti in merito all’obbligo di convalida delle dimissioni per le madri e i padri durante il periodo protetto. In particolare, tale obbligo si estende anche durante il periodo di prova, sia nei contratti a tempo determinato che indeterminato. La misura tutela la genuinità della volontà del lavoratore, prevenendo condotte discriminatorie. Restano tuttavia aperte alcune criticità applicative, specie nei casi di dimissioni non convalidate.
Con una nota, la n. 14744 del 13 ottobre 2025, il Dipartimento delle politiche del lavoro, previdenziali, assicurative e per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, del Ministero del Lavoro, rispondendo ad un quesito del Servizio Lavoro della Provincia Autonoma di Trento, ha fornito il proprio parere in ordine alla convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore, non soltanto durante il “periodo protetto” che termina al compimento di un anno dalla nascita del bambino, ma anche nel periodo successivo fino al compimento dei tre anni, secondo le previsioni contenute nell’art. 55, comma 4, del D.Lgs. n. 151/2001. Tale disposizione, è bene ricordarlo, trova applicazione anche nei casi in cui ci si trovi di fronte ad una adozione o ad un affidamento.

Efficacia delle dimissioni nel periodo protetto

La norma che, per la efficacia delle dimissioni, necessita della convalida avanti ad un funzionario dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro o dell’Ufficio Ispettivo territorialmente competente (nel caso delle Provincie Autonome e della Regione Sicilia) ha, come afferma il Dicastero del Lavoro, “una dignità giuridica propria, finalizzata a prevenire comportamenti vessatoridiscriminatori o coercitivi da parte del datore di lavoro”, rappresentando l’istituto della convalida uno strumento finalizzato a garantire la genuinità della volontà dei lavoratori e delle lavoratrici in un momento (soprattutto, per la donna) particolarmente delicato della vita familiare.

Convalida delle dimissioni durante il periodo di prova

Rispondendo al quesito posto, il Ministero afferma come la convalida delle dimissioni debba applicarsi anche allorquando le stesse siano state presentate al datore di lavoro durante il periodo di prova sulla scorta di alcune considerazioni che possono così sintetizzarsi:
a) l’obbligo della convalida delle dimissioni ha una portata generale anche alla luce di quanto affermato dall’art. 12, comma 1, delle “Disposizioni sulla legge in generale” secondo la quale nella interpretazione delle norme occorre attenersi al significato proprio delle parole e seguire le intenzioni del Legislatore;
b) nell’art. 55, comma 4, non si rinviene alcun limite alla convalida, non essendo escluso il periodo di prova.
Tale passaggio è, indubbiamente, in linea con ciò che è alla base dello strumento della convalida: esso, infatti, è teso ad accertare che la volontà dei diretti interessati sia libera da condizionamenti e mira a proteggere (soprattutto la lavoratrice) da pressioni del proprio datore che intende mascherare con tale atto (e, purtroppo, ancora esistono tali situazioni in alcune realtà del nostro Paese) un provvedimento di licenziamento che, se fosse stato posto in essere, sarebbe stato nullo.

Questioni pratiche e possibili criticità

L’indirizzo ministeriale, sicuramente legittimo e da condividere, pone però alcune questioni pratiche che, in taluni casi, potrebbero essere di non facile soluzione, soprattutto per quel che riguarda il lavoratore padre con un bambino di età compresa tra uno e tre anni il quale, a differenza della donna, non corre il rischio di trovarsi in stato di gravidanza.
La norma si applica, non essendoci alcuna limitazione, sia al periodo di prova nei contratti a tempo indeterminato che in quelli a termine ove, per questi ultimi, l’art. 13 della 
legge n. 203/2024 prevede, in mancanza di disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva, durate del periodo di prova abbastanza corte (un giorno lavorativo, ogni quindici di contratto), che non tengono conto della diversità delle qualifiche e delle mansioni.
Se un lavoratore si dimette durante la breve prova (perché non si trova bene o perché ha trovato una migliore occasione) siamo veramente sicuri che, lavorando da un’altra parte, andrà a convalidare le dimissioni da un rapporto (del quale non gliene importa più nulla) presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro ove, nella maggior parte dei casi, occorre prendere un appuntamento per poter procedere alla conferma e per il quale dovrà chiedere un permesso al nuovo datore di lavoro?
Quelle dimissioni non convalidate, afferma il comma 4 dell’art. 55, condizionano l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro: ciò significa che (e questo è l’assurdo) quel lavoratore che si è dimesso durante il periodo di prova perché ha trovato una occupazione migliore, resta, formalmente, dipendente del primo datore che, magari, lo ha avuto in forza soltanto per uno o due giorni. Ovviamente, la sospensione ella efficacia della risoluzione del rapporto (che, peraltro, da una certa data in poi non risulta lavorato) cessa con la fine del contratto a tempo determinato che è una delle ipotesi previste dalla norma (art. 54) per la fine del rapporto di lavoro anche in “periodo protetto”.
Lo stesso discorso può essere fatto per le dimissioni presentate durante il periodo di prova in un contratto a tempo indeterminato ove, nella maggior parte dei casi previsti dalla contrattazione collettiva, la durata, correlata anche alla qualifica ed alle mansioni, è più lunga. Se il lavoratore o la lavoratrice non confermano le proprie dimissioni in sede di Ispettorato Territoriale del Lavoro, l’efficacia delle stesse resta sospesa, ma se non riprendono la loro attività (fatti salvi i casi di assenza previsti dalle norme), il datore potrà procedere alla risoluzione del rapporto, durante il periodo di prova, avendo cura, in caso di giudizio, di dimostrare che il recesso non è dovuto ad una causale correlata alla tutela della gravidanza o dello “status” di genitore di bambino minore dei tre anni.
Eufranio Massi

21 Ottobre 2025


Fonte : WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro