In caso di licenziamento, al fine di ridurre il contenzioso, è previsto un meccanismo di conciliazione. L’importo da offrire al lavoratore viene predeterminato nel suo valore dalla legge ed è differenziato in base al requisito occupazionale del datore di lavoro. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015, nella parte relativa ai parametri di calcolo dell’offerta conciliativa per i licenziamenti illegittimi nelle imprese fino a 15 dipendenti, di fatto stabilendo nuovi criteri di calcolo. Cosa prevede la normativa in materia? Quali sono gli adempimenti amministrativi in carico al datore nel caso di offerta conciliativa? Che impatti ha la sentenza della Corte Costituzionale sul calcolo dell’assegno di conciliazione? Un esempio può essere di aiuto.
Uno dei principi cardine su cui si è basata la riforma dei licenziamenti nell’ambito del Jobs Act è quello relativo alla spinta a una conciliazione tra le parti in tutti i casi di licenziamento del lavoratore. Spinta alla conciliazione attuata anche mediante il riconoscimento di un beneficio di natura fiscale e previdenziale a favore del lavoratore che accetta la somma, predeterminata nel suo valore, offerta dal datore di lavoro.
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Gli importi, tassativamente previsti per legge, sono diversificati a seconda del requisito di organico del datore di lavoro: nel caso delle piccole aziende, ovvero quelle fino a 15 dipendenti, la legge prevede 0,5 mensilità per anno di servizio, con un minimo di 1,5 e un massimo di 6 mesi di retribuzione utile al calcolo del TFR.
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L’impianto, con fortune alterne, ha retto sino alla sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato parzialmente illegittimo il D.Lgs. n. 23/2015, in particolare l’art. 9, comma 1, nella parte in cui stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro fino a 15 dipendenti presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di 60 dipendenti, l’ammontare delle indennità risarcitorie e dell’ammontare massimo della conciliazione facoltativa “non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità” dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
Tentativo di conciliazione facoltativa
Al fine di ridurre il contenzioso del lavoro, il D.Lgs. n. 23/2015 ha previsto un tentativo di conciliazione facoltativo.
In particolare, l’art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015 prevede che in tutti i casi di licenziamento dei lavoratori rientranti nell’ambito di applicazione delle tutele crescenti (licenziamento per giusta causa, giustificato motivo soggettivo e oggettivo), al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro il termine di impugnazione del licenziamento stesso (60 giorni), in una delle sedi di conciliazione di cui all’art. 2113, co. 4, c.c. e all’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003:
– un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è soggetto a contribuzione previdenziale;
– di ammontare pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 27 mensilità (valore stabilito post legge n. 96/2018).
Per i datori di lavoro che non raggiungono i limiti dimensionali dei 16 dipendenti l’ammontare delle somme sopra indicate (art. 9 del D.Lgs. n. 23/2015) è dimezzato (0,5 mensilità per anno di servizio) e, in ogni caso, non può essere inferiore a 1,5 mensilità e non superiore al limite delle 6 mensilità.
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Per quanto riguarda la modalità di pagamento, la norma prevede che l’importo deve essere offerto mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare e che l’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
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La disposizione trova applicazione in tutti i casi di licenziamento del lavoratore (giusta casa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo), relativamente a:
– lavoratori (operai, impiegati, quadri) assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015;
– contratti a termine e di apprendistato convertiti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015;
– lavoratori già in forza al 6 marzo 2015, nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dal 7 marzo 2015 integri il requisito occupazionale della tutela reale.
L’importo da offrire viene predeterminato nel suo valore dalla legge e differenziato in base al requisito occupazionale del datore di lavoro; in particolare la somma è:
– pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare;
– pari a 0,5 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 1,5 e non superiore a 6 mensilità per le aziende sotto i 16 dipendenti.
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L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
La norma chiarisce che le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza in merito alla costituzione, svolgimento, e cessazione del rapporto di lavoro (cd. accordo tombale) sono soggette al regime fiscale e previdenziale ordinario, ovvero esenzione contributiva per il lavoratore e assoggettamento da un punto di vista fiscale a tassazione separata.
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Schema di sintesi
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Lavoratore non accetta
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Lavoratore accetta
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– Se il lavoratore rifiuta l’offerta o comunque non incassa l’assegno, resta libero di impugnare in giudizio il licenziamento.
– Una volta rifiutata la conciliazione, viene meno l’incentivo fiscale.
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– Se il lavorare accetta l’assegno, decade automaticamente dal diritto di impugnare in giudizio il licenziamento.
– Le somme percepite sono esenti da tasse e contributi, entro limiti predefiniti.
– Eventuali somme aggiuntive sono da assoggettare all’ordinario regime.
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Adempimenti amministrativi
La norma prevede che il datore di lavoro, a seguito della proposta di conciliazione e indipendentemente dall’esito della stessa, deve integrare la comunicazione telematica di cessazione del rapporto di lavoro al centro per l’impiego (UniLav) con un’ulteriore comunicazione, anch’essa telematica, da trasmettere entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, in cui occorre indicare espressamente l’avvenuta o meno conciliazione volontaria.
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In caso di omessa comunicazione, si applicano le sanzioni previste dalla disciplina sanzionatoria in materia di collocamento (sanzione amministrativa da euro 100 a euro 500).
Con la nota n. 3845 del 22 luglio 2015, il Ministero del Lavoro ha chiarito che la comunicazione è dovuta solo nei casi in cui il datore di lavoro (anche Agenzie di lavoro) propone la conciliazione al lavoratore e che non va effettuata quando il rapporto di lavoro si risolve durante il periodo di prova.
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Impatti della sentenza n. 118/2025 della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118 depositata in data 21 luglio 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 (cd. Tutele crescenti), là dove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, dello Statuto dei lavoratori (e cioè non occupi più di 15 lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di 60 dipendenti), l’ammontare delle indennità risarcitorie “non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità” dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
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Il venir meno del limite massimo di 6 mensilità comporta, pertanto, che l’ammontare della somma da offrire al lavoratore sotto forma di conciliazione sarà pari a 0,5 mensilità della retribuzione utile al calcolo del TFR con il limite minimo di 1,5 e un massimo di 13,5 mensilità (metà delle 27 mensilità previste per i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti).
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Cambiano, pertanto, le somme “in gioco”, con un indubbio beneficio a favore del lavoratore che decidesse di accettare la conciliazione, fermo restando che gli effetti della sentenza si avranno ad oggi esclusivamente per quei lavoratori che possono vantare un’anzianità di servizio superiore a 12 anni, anzianità che, ad oggi, stante l’entrata in vigore della legge nel 2015, può trovare applicazione solo nel caso di lavoratori già in forza al 6 marzo 2015 nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dal 7 marzo 2015, integri il requisito occupazionale della tutela reale.
Esempio di calcolo
Ipotizziamo il caso di un lavoratore con un lordo mese di 2.500 euro, settore metalmeccanica industria, con autovettura aziendale ad uso promiscuo con valore convenzionale di 260 euro mensili.
Il lavoratore viene licenziato per GMO (giustificato motivo oggettivo) e riceve l’offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro, che occupa fino a 15 dipendenti.
Il lavoratore ha un’anzianità di servizio di 20 anni.
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Valori
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Valore della conciliazione ante sentenza Corte Costituzionale
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Valore della conciliazione post sentenza Corte Costituzionale
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Lordo mese
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Euro 2.500,00
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Rateo 13° mensilità
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Euro 208,33
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Retribuzione in natura
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Euro 260,00
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Retribuzione utile per il calcolo del TFR
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Euro 2.968,33
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Mensilità in base all’anzianità di servizio
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0,5 x 20 = 10 mensilità
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0,5 x 20 = 10 mensilità
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Limite di legge
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6 mensilità
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10 mensilità
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Totale
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Euro 2.968,33 x 6
= 17.810
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Euro 2.968,33 x 10
= 29.683,33
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Simone Baghin
28 Ottobre 2025