Dimissioni per fatti concludenti: i limiti dei poteri ispettivi

Ho già avuto modo, nei mesi appena trascorsi, di interessarmi su questo blog, delle dimissioni per fatti concludenti e del ruolo “giocato” nella procedura dall’Ispettorato territoriale del Lavoro. Nel frattempo, gli operatori del settore si sono molto “arrovellati” su alcuni aspetti dell’iter procedimentale, sul ruolo della contrattazione collettiva se e quando deciderà di intervenire specificatamente sulla materia, sulla prima decisione di merito sull’argomento ove, tra le altre cose, il giudice afferma che per la definizione di assenza ingiustificata è sufficiente rispettare i termini temporali previsti dalla CCNL per tale figura, foriera, peraltro, del licenziamento al termine della procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970.

Tale decisione non è stata ritenuta pertinente dal Ministero del Lavoro che, con una sua nota, ha ritenuto di ribadire la specificità dell’iter legale correlato al trascorrere dei quindici giorni di calendario, atteso che una eventuale applicazione dei termini previsti dal CCNL per il licenziamento determinato da assenza ingiustificata, non garantisce alcun contraddittorio difensivo a favore del lavoratore, cosa espressamente prevista per il solo recesso.

Il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro: quali limiti?

La domanda che in molti si chiedono è questaquale è il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro nella procedura sulle dimissioni per fatti concludenti, atteso che la circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro, non si dilunga troppo sull’argomento?

L’Ispettorato territoriale del Lavoro, competente in relazione al luogo ove si è svolta l’attività dell’interessato, viene attivato da una comunicazione del datore di lavoro con la quale (fornendo tutti i dati indicativi relativi all’azienda ed al lavoratore, le mansioni ed il livello, il CCNL applicato, i recapiti, anche elettronici o telefonici dell’interessato), si dà notizia delle dimissioni per fatti concludenti del dipendente, atteso che sono stati superati i limiti temporali  previsti dalla norma, senza che lo stesso abbia fatto giungere alcuna comunicazione o si sia ripresentato sul posto di  lavoro.

Dal giorno della ricezione della comunicazione, nel caso in cui intenda attivare un controllo circa la veridicità di quanto affermato dal datore, scattano i trenta giorni entro i quali l’eventuale accertamento, come ricorda la nota n. 579/2025 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, può essere effettuato e concluso.

L’azione dell’organo di vigilanza è facoltativa e qualora esercitata, non presenta alcun potere coercitivo finalizzato a reintegrare il lavoratore, atteso che la disposizione di riferimento non ha concesso tale possibilità.

Esiti possibili dell’accertamento ispettivo

L’eventuale accertamento può giungere ad uno dei seguenti risultati:

  • Il lavoratore non è stato trovato;
  • Il lavoratore, pur essendo stato trovato, ha, nella sostanza, confermato il proprio comportamento;
  • Il lavoratore ha prodotto elementi che fanno ritenere che l’assenza ingiustificata sia dovuta a causa di forza maggiore (ad esempio, lavoratore all’estero che, per fatti avvenuti nel proprio Paese, non è stato in grado di comunicareo ad una responsabilità datoriale (ad esempio, il datore gli ha detto di stare a casa e di “non farsi vedere più”, cosa possibile in alcune piccolissime realtà, tale da configurare un “licenziamento orale”).

Nel caso in cui l’organo di vigilanza accerti che la mancata comunicazione dell’assenza deriva da una causa di forza maggiore o da un comportamento del datore deve comunicare sia quest’ultimo che al lavoratore l’inefficacia delle dimissioni per fatti concludenti.

Ricorso giudiziale e ruolo dell’accertamento

Detto questo, però, l’interessato, per far valere i propri diritti, dovrà andare in giudizio, portando come prova l’accertamento ispettivo: ovviamente, il ricorso giudiziale potrà essere preceduto da un tentativo di conciliazione, pur sempre facoltativo, avanti ad uno degli organi a ciò deputati ove un eventuale accordo viene raggiunto ai sensi dell’art. 410 cpc o 411 cpc.

L’ispettore del lavoro, qualora ne ricorrano le condizioni, può segnalare il datore di lavoro alla Procura della Repubblica per falsità nella comunicazione resa.

Casi speciali e prevalenza delle dimissioni per giusta causa

La circolare n. 6 sottolinea un altro passaggio importante allorquando sottolinea che, pur in presenza di una procedura di dimissioni per fatti concludenti avviata, se dovesse giungere dal sistema informatico del Ministero del Lavoro la segnalazione di dimissioni del lavoratore per giusta causa, pur nel rispetto dell’onere probatorio descritto dalla circolare INPS n. 163/2003, quest’ultima prevale sulla procedura delle dimissioni “di fatto” avviata dal datore di lavoro.

Uso distorto della procedura e ipotesi particolari

Si è detto, da più parti (anche giustamente) che l’organo di vigilanza non ha il potere di ricostituire il rapporto “quo ante”: Ciò è vero ma ci sono casi in cui (che, peraltro, si sono già verificati) nei quali la procedura delle dimissioni per fatti concludenti è stata adoperata “in malo modo”, atteso che nascondeva una ipotesi diversa.

Mi riferisco al caso del trasferimento del lavoratore ad una unità produttiva distante oltre i 50 chilometri dal precedente posto di lavoro senza le comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive ove quest’ultimo, impugnando il trasferimento, aveva offerto la propria disponibilità a prestare attività nella stessa unità produttiva o in una più vicina alla sua residenza. Ebbene, l’organo di vigilanza intervenuto a seguito della comunicazione delle dimissioni per fatti concludenti (perché il lavoratore non si era presentato nella nuova sede assegnata da più di 16 giorni), ha ritenuto, giustamente, di emettere un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004, fornendo al datore un breve termine per ottemperare e riportare il dipendente nella sede originaria, in attesa dell’esito del ricorso con il quale aveva impugnato il provvedimento datoriale.

Altra casistica presentatasi in una procedura riguarda le dimissioni per fatti concludenti di una lavoratrice “nel periodo protetto”. L’organo di vigilanza ha rilevato la inapplicabilità della procedura, atteso che tali dimissioni debbono essere confermate, pena la nullità delle stesse, avanti ad un funzionario dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio.  Ma, se la lavoratrice non esprime la propria volontà per iscritto (da confermare in sede di Ispettorato), perdurando l’assenza senza alcuna comunicazione, cosa può fare il datore di lavoro? È, probabilmente, un caso limite, essendo la maternità tutelata nel nostro ordinamento ma, qualora si dovesse verificare, occorrerebbe seguire un’unica via che è quella, irta di difficoltà, prevista dall’art. 54, comma 3, del D.L. vo n. 151/2001: “risoluzione del rapporto per colpa grave costituente giusta causa di licenziamento”.

Casi in cui le dimissioni per fatti concludenti non sono applicabili

La circolare n. 6/2025 elenca una serie di dimissioni ove la procedura per fatti concludenti non è applicabile atteso che per la loro validità occorre che siano convalidate in sede di Ispettorato del Lavoro. Quella che segue è una elencazione che comprende anche altre ipotesi non nominate nella circolare:

  • “Dimissioni durante il periodo di gravidanza” (frase riportata nella circolare n. 6), che va inteso come “periodo protetto” intercorrente tra il concepimento ed il compimento di un anno di età del bambino. La medesima tutela riguarda il padre unico affidatario del bambino (perché la madre è morta, o gravemente ammalata o ha abbandonato il nucleo familiare). La stessa disposizione si applica ai lavoratori che hanno fruito, anche parzialmente, del congedo di paternità, previsto dal D.L. vo n. 105/2022, tra il settimo mese antecedente il parto ed i tre mesi successivi. Tale disposizione, alla luce della sentenza n. 115 del 21 luglio 2025 della Corte Costituzionale, trova applicazione anche in favore della “lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile”;
  • Dimissioni o risoluzione consensuale (art. 55, comma 4, del D.L. vo n. 151/2001) del padre o della madre durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalla comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ovvero dalla comunicazione di recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento;
  • Dimissioni della donna per causa di matrimonio (art. 35 del D.L. vo n. 198/2006 che riprende i contenuti già presenti nella legge n. 1204/1971) nel periodo compreso tra la richiesta di affissione delle pubblicazioni di matrimonio, nella casa comunale, in quanto segua la celebrazione, fino all’anno successivo alla stessa. La Cassazione, riformando alcune decisioni di merito, ha affermato, con la sentenza n. 28926 del 13 novembre 2018, che la limitazione alla donna non è da intendersi discriminatoria per l’uomo, in quanto la stessa intende valorizzare la natalità di cui la prima è portatrice.

Eufranio Massi


6 Agosto 2025


Fonte : Dottrina Lavoro