Inquadramento professionale del dipendente: a cosa prestare attenzione per evitare rischi e criticità

L’inquadramento del lavoratore dipendente è un elemento essenziale da indicare nel contratto
di lavoro subordinato in fase di assunzione. Esso può essere poi modificato durante lo
svolgimento del rapporto lavorativo. La corretta individuazione dell’attività che il lavoratore
subordinato si impegna a prestare nei confronti del datore di lavoro è di fondamentale
importanza al fine di determinare con precisione i diritti e i doveri delle parti contraenti il
rapporto individuale di lavoro. Secondo quali criteri deve avvenire il processo di
inquadramento? Quali sono le categorie legali di riferimento?
Al momento dell’assunzione, uno degli elementi essenziali che devono essere indicati nel
contratto di lavoro dipendente è l’inquadramento del lavoratore. Inquadramento che
rappresenta uno degli elementi fondamentali del rapporto di lavoro subordinato, in quanto va a
concretizzare quello che è lo “scambio sociale” che caratterizza la subordinazione: attività
lavorativa da parte del lavoratore (manuale o intellettuale ai sensi dell’art. 2094, c.c.) dietro
riconoscimento di un corrispettivo definito retribuzione.
Elemento che diventa ancora più essenziale in attuazione dell’obbligo di informazione e
trasparenza previsto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 152/1997, come modificato dal D.Lgs. n. 104/2022,
che stabilisce l’obbligo da parte del datore di lavoro (sia privato che pubblico) di
comunicare al lavoratore, tra le altre informazioni, l’inquadramento, il livello e la
qualifica attribuiti allo stesso lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione
sommaria del lavoro.
Ma qual è il corretto iter da seguire per il corretto inquadramento del lavoratore? Quali sono i
possibili rischi in caso di erroneo inquadramento del lavoratore?
Processo di inquadramento del lavoratore
L’esatta e puntuale individuazione dell’attività che il lavoratore subordinato si impegna a
prestare nei confronti del datore di lavoro è di fondamentale importanza al fine di
determinare, con la maggior certezza possibile, i diritti e i doveri delle parti contraenti il
rapporto individuale di lavoro.
Al fine di dare attuazione alla disposizione di legge, è necessario, pertanto, che il datore di
lavoro, all’atto dell’assunzione ovvero anche successivamente in caso di modifica in corso del
rapporto di lavoro, riconosca al lavoratore la categoria legale, qualifica professionale, mansioni
e livello di inquadramento.
Categoria legale
I lavoratori subordinati vengono classificati, in base a quanto disposto dall’art. 2095, c.c., così
come modificato dalla legge n. 190 del 13 maggio 1985, in quattro “categorie legali”:
Dirigenti La figura professionale del dirigente è generalmente definita dalla
contrattazione collettiva specifica che caratterizza tale figura
dall’autonomia e discrezionalità delle decisioni e dalla mancanza di una
vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall’ampiezza delle
funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un suo
ramo autonomo o, comunque, su servizi o uffici di primaria importanza
dell’impresa.
Quadri – Anche per quanto riguarda la categoria intermedia dei quadri, la
giurisprudenza fa rinvio, per l’individuazione della nozione e quindi dei
requisiti di appartenenza, alla contrattazione collettiva: sarà, pertanto,
necessario, prima di tutto, analizzare il contratto collettivo, anche
aziendale.
– La legge n. 190/1985, che ha introdotto la categoria, pur non
contenendo una precisa definizione della medesima e prevedendo che i
relativi requisiti di appartenenza siano stabiliti dalla contrattazione
collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di
produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa,
fornisce dei criteri direttivi, concependo tale categoria quale intermedia
tra quella dei dirigenti e quella degli impiegati e specificando che i suoi
appartenenti svolgono in maniera continuativa funzioni di rilevante
importanza ai fini dello sviluppo dell’impresa (art. 2, comma 2).
Impiegati
e operai
– Sulla distinzione tra impiegati e operai, la giurisprudenza ha chiarito
che “ai fini della distinzione tra la categoria operaia e quella
impiegatizia non è decisivo il carattere intellettuale o manuale
dell’attività lavorativa ma il grado di collaborazione del lavoratore con
l’imprenditore”.
– Deve definirsi “operaio” chi esplica attività che ineriscono al processo
produttivo e si mantengono nella sfera della semplice esecuzione e non
implicano esercizio di discrezionalità o di poteri decisionali, senza che
tale attività possa assumere carattere impiegatizio per il semplice fatto
di non essere esclusivamente manuale o perché involga un qualche
compito di vigilanza o di controllo su altri operai in ordine agli aspetti
meramente esecutivi del lavoro.
– Deve definirsi “impiegato” colui che svolge un’opera inerente al
processo organizzativo tecnico-amministrativo dell’impresa e
riconducibile a compiti di organizzazione, promozione, direzione e
vigilanza.
Qualifica professionale
Le categorie legali si suddividono al loro interno per qualifiche.
Con il termine “qualifica professionale” si intende il raggiungimento di uno standard di
conoscenze, abilità e competenze relativamente a una specifica figura professionale.
Il termine “qualifica” indica, quindi, la prestazione lavorativa dedotta in contratto, ovvero
l’insieme delle mansioni pattuite, individuate con riferimento non ad elementi oggetti (i
compiti), ma ad una qualità del soggetto (la capacità di svolgere quel compito).
Mansioni e livello
L’art. 2013, c.c., stabilisce che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è
stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale
di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.”
L’attribuzione delle mansioni rientra nel potere direttivo e organizzativo del datore di
lavoro e la mansione rappresenta il contenuto dell’obbligazione del prestatore di lavoro
che si concretizza nello svolgimento di una serie di attività.
L’inquadramento professionale deve essere operato dal datore di lavoro all’atto dell’assunzione
in relazione alle mansioni che il lavoratore è destinato a svolgere e rivisto, nel corso del
rapporto, qualora il lavoratore sia adibito a mansioni diverse e corrispondenti a un livello di
inquadramento superiore a quello inizialmente attribuitogli.
Collegato alla mansione c’è il livello di inquadramento, che, disciplinato dal CCNL
applicato al rapporto di lavoro, rappresenta l’ammontare minimo di retribuzione spettante
al lavoratore a fronte della prestazione lavorativa ordinaria prestata.
Provando a schematizzare, quindi, il datore di lavoro, al fine di procedere al corretto
inquadramento del lavoratore, deve:
– identificare la categoria legale (dirigente, quadro, impiegato e operaio);
– individuare la mansione affidata al lavoratore;
– ricondurre la mansione alla declaratoria individuata dalla contrattazione collettiva di
riferimento (secondo il c.d. principio dell’inquadramento unico);
– sulla base della declaratoria contrattuale, individuare il livello di inquadramento a cui
corrisponde il rispettivo livello economico (c.d. paga base o minimo tabellare).
Errato inquadramento del lavoratore: criticità
Succede che all’atto dell’assunzione sia riconosciuto al lavoratore un livello di inquadramento
diverso e non conforme rispetto alle mansioni svolte.
Qualora l’inquadramento risulti fatto a un livello più basso rispetto alle mansioni, il
rischio è che il lavoratore sostenga la violazione dell’art. 36 della Costituzione, richiedendo,
oltre al corretto livello di inquadramento, anche le differenze retributive spettanti per il
periodo in cui è stato sotto inquadrato.
Il sotto inquadramento del lavoratore, inoltre, potrà avere ripercussioni negative in caso
di recesso durante il periodo di prova, in quanto il lavoratore potrebbe dimostrare di aver
diritto a un periodo di prova più lungo e definito sul livello superiore corretto dalla
contrattazione collettiva invece del livello più basso relativo all’inquadramento
assegnato.
Le criticità ci sono anche qualora al lavoratore sia stato assegnato un livello più alto
rispetto alle mansioni svolte.
Queste riguardano, in particolare, la cd. mobilità orizzontale in azienda: l’eventuale cambio di
mansione del lavoratore in attuazione dell’art. 2103, c.c., dovrà necessariamente avvenire
nell’ambito delle mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento e categoria delle
ultime effettivamente svolte (ovvero quelle di livello superiore).
Alcuni consigli:
– non esiste un diritto acquisito del lavoratore a un livello di inquadramento: il livello di
inquadramento dipende dalla mansione svolta avendo a riferimento ciascun rapporto di
lavoro svolto;
– è sconsigliato utilizzare il livello di inquadramento come strumento per “valorizzare” e
premiare l’anzianità di servizio in azienda: l’assegnazione di un livello di inquadramento
superiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte potrebbe comportare un impatto
negativo nell’organizzazione aziendale, con possibili problematiche anche nell’esercizio
del potere direttivo da parte del datore di lavoro;
– è sconsigliato di utilizzare il livello di inquadramento per “avvicinarsi” il più possibile a
un lordo concordato: per livellare la differenza di retribuzione tra la RAL concordata e il
corretto livello spettante sulla base delle mansioni svolte, si può utilizzare il superminimo
individuale.


14 Maggio 2025


Fonte : WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro