Trasparenza nei contratti di lavoro: come la contrattazione collettiva semplifica gli adempimenti

8 Giugno, 2023   |  

Dopo circa 9 mesi dall’entrata in vigore del D.L.vo n. 104/2022 che poneva pesanti oneri di comunicazione ai datori di lavoro che assumevano personale, con adempimenti che avevano mandato “in tilt” gli operatori anche sulla base di alcune interpretazioni molto restrittive pervenute dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 19 del 20 agosto 2022 che si poneva in palese contraddizione con le indicazioni più pratiche espresse dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con una nota di dieci giorni prima, l’Esecutivo è intervenuto con alcune novità introdotte all’interno del decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023), prevedendo una sorta di semplificazione ove le determinazioni della contrattazione collettiva assumono, oggi, un aspetto, per certi versi, risolutivo per alcune questioni. Per la verità, la nuova norma è intervenuta anche sui processi automatizzati che, come vedremo, per la formulazione adottata, appare confliggere con il Regolamento comunitario sulla “privacy”.

CCNL e semplificazioni in materia di trasparenza
Dopo il comma 5, è stato inserito un nuovo comma, il 5-bis, il quale dispone che molte specifiche informazioni possono essere comunicate al lavoratore ed il relativo onere si intende assolto con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie. Con il successivo comma 6-bis si afferma che, ai fini della semplificazione, il datore di lavoro deve consegnare o mettere a disposizione del proprio personale, anche con la pubblicazione sul sito web aziendale, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonchè eventuali regolamenti aziendali (che sono atti unilaterali dell’imprenditore), applicabili al rapporto di lavoro.

Modalità di comunicazione
Ma quali sono le comunicazioni relative agli istituti e ad alcune modalità alle quali si può far riferimento consegnando il CCNL o richiamando anche patti collettivi di secondo livello o regolamenti unilaterali del datore di lavoro? Essi sono elencati in maniera precisa e riguardano:
a) la durata del periodo di prova, laddove previsto (il D.L.vo n. 104, all’art. 7, ha introdotto alcune novità che riguardano il tetto massimo della stessa, fissato in 6 mesi, la proporzionalità nei contratti a termine, e la non ripetibilità della prova in caso di rinnovo di contratto a tempo determinato per mansioni già svolte, riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento). Per completezza di informazione ricordo che per il contratto a termine ci potrebbero essere novità per una norma inserita in un disegno di legge preannunciato dal Governo. Essa dovrebbe stabilire che, in mancanza di una previsione più favorevole della contrattazione collettiva, la proporzionalità richiesta dall’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022 in mancanza di previsione della contrattazione collettiva, dovrebbe prevedere (il condizionale è d’obbligo) un giorno effettivo di prova per ogni 15 giorni di contratto a partire dalla data di inizio del rapporto. In ogni caso, la durata non può essere inferiore a 2 giorni e superiore a 15 per i contratti di durata non superiore ai 6 mesi, e 30 giorni per quelli che superano tale soglia e fino ad un massimo di 12 mesi;
b) il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore, se prevista;
c) la durata delle ferie e degli altri congedi retribuiti che spettano al lavoratore o, se ciò non può essere indicato nell’informazione, le modalità di determinazione e fruizione degli stessi. La descrizione dei congedi appare alquanto ampia, atteso che vi sono quelli previsti dalla legge (e qui si può far riferimento alle indicazioni normative) e quelli individuati dalla contrattazione collettiva. La circolare del Ministero del Lavoro n. 19 pone l’attenzione sul fatto che occorre focalizzare l’attenzione sulla locuzione “nonché degli altri congedi retribuiti (“rectius” indennizzati) cui ha diritto il lavoratore”, secondo il quale occorre indicare esclusivamente i congedi monetizzati mentre non sussiste alcun obbligo per gli altri: il tutto in base al principio di ragionevolezza. Di qui la citazione dei congedi di maternità e paternità, del congedo parentale e di quello straordinario ex D.L.vo n. 151/2001, del congedo per i portatori di handicap previsto dall’art. 7 del D.L.vo 18 luglio 2011 n. 119 e del congedo per le donne vittime di violenza ex art. 24 del D.L.vo 15 giugno 2015 n. 80;
d) la procedura, la forma ed i termini del periodo di preavviso. Questo punto creò, una serie di questioni operative allorquando entrò in vigore e bene ha fatto il Governo ad intervenire. Qui, il richiamo al CCNL appare significativo come anche quello relativo alle dimissioni ove, talora, la contrattazione collettiva disciplina alcuni aspetti particolari come il periodo del mese entro il quale vanno presentate. Laddove quest’ultima non dice nulla o dice poco è, opportuno, come nel caso delle dimissioni telematiche citare, quale mero richiamo, la procedura prevista dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2001 e del conseguente D.M. applicativo, e per le dimissioni a seguito di maternità, paternità e matrimonio le specifiche disposizioni legali. Non credo, assolutamente, che debbano essere richiamate le situazioni del tutto particolari come quelle (accordi “in sede protetta” ex art. 410 e 411 c.p.c.) che consentono di “by-passare” la procedura telematica;
e) l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso con i relativi elementi costitutivi dettagliati: qui è, senz’altro, sufficiente il rinvio alle tabelle del contratto collettivo o, per le collaborazioni autonome, a quanto concordato. Vanno indicati i periodi di pagamento e le modalità. Tutti i pagamenti debbono essere tracciabili (art. 1, comma 910 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e la traccia deve essere conservata (è un obbligo) dal datore di lavoro, come sottolinea l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 473/2021;
f) la programmazione dell’orario normale di lavoro e le condizioni per lo straordinario, gli eventuali cambi di turno, qualora sia prevista una organizzazione dell’orario prevedibile, è sufficiente il richiamo al contratto collettivo. Se la programmazione oraria è in gran parte non prevedibile, il datore di lavoro deve informare il lavoratore (qualora ciò non sia disciplinato dalla contrattazione collettiva o dal regolamento aziendale) circa la variabilità della programmazione, deve indicare il minimo delle ore garantite, deve specificare l’ammontare della retribuzione per le prestazioni lavorative eccedenti le ore garantite, deve individuare le ore ed i giorni in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni, deve prevedere sia il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione che il limite temporale entro cui può disdire l’incarico.
g) la comunicazione degli Enti e gli Istituti destinatari dei contributi previdenziali ed assicurativi (nella stragrande maggioranza si tratta dell’INPS e dell’INAIL): a mio avviso, atteso che nella stragrande maggioranza dei CCNL ciò (che appare una ovvietà) non è citato, la disposizione sembra riferirsi a qualunque altra forma di protezione in materia di sicurezza sociale, come, ad esempio, un fondo di previdenza complementare di natura pattizia.

Sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati

“Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti e mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle prestazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300”. La norma prosegue modificando anche il comma 8 con l’affermazione che “gli obblighi informativi di cui al presente articolo non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale”.

La modifica introdotta appare dirompente in quanto i pesanti obblighi di comunicazione (e le relative sanzioni in caso di inadempimento) si applicherebbero soltanto allorquando i sistemi decisionali e di monitoraggio (da cui dipendono una serie di valutazioni della vita lavorativa dei dipendenti), dipendono integralmente da sistemi automatizzati, senza l’intervento umano. Ovviamente, tutto ruota sul significato da fornire all’avverbio “integralmente”.

Fonte: WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro



Fonte : Studio Balillo