Reddito di Cittadinanza: i rischi per i lavoratori “in nero” e per chi li utilizza[E.Massi]

Dal reato di truffa aggravata con reclusione da due a sei anni passando per la revoca del Reddito con restituzione di quanto già percepito. Coloro che lavorano in nero rischiano innanzitutto sanzioni penali.

I controlli sui percettori del reddito di cittadinanza sono sempre più rigorosi e gli stessi “media” ci danno, a cadenza giornaliera, i risultati di controlli posti in essere dagli ispettori del lavoro e degli Enti previdenziali, dai Carabinieri anche dei nuclei presso gli Ispettorati, e della Guardia di Finanza.
Gli indirizzi amministrativi espressi sia dall’INPS con la circolare n. 43/2019, che dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro tendono, sempre più, a portare in evidenza situazioni di palese violazione della norma la quale collega a tali comportamenti anche conseguenze sul piano penale.

L’accesso dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, postulato dall’art. 7, comma 15 ter, alle banche dati gestite dall’INPS rappresenta, sul piano operativo, la palese testimonianza del fatto che si intendono colpire le palesi violazioni del dettato normativo. La piattaforma predisposta dall’Istituto consente agli ispettori di accedere ad una serie di dati relativi alla percezione del reddito di cittadinanza, necessari anche in un’ottica di accertamento degli specifici reati ravvisabili nel corso degli accessi ispettivi.

Il personale addetto alla vigilanza può, velocemente, verificare se, ad esempio, il lavoratore in nero appartiene ad un nucleo familiare titolare di reddito di cittadinanza e, contemporaneamente, può consultare se l’interessato ha effettuato le comunicazioni relative alle variazioni patrimoniali.
Con la circolare n. 8 del 26 luglio 2019 l’organo nazionale della vigilanza ispettiva ricorda, al proprio personale, che le verifiche preventive relative alla sussistenza dei requisiti necessari per l’accesso al reddito di cittadinanza sono stati, in via preventiva, esaminati dall’Istituto.

Fatta questa necessaria premessa la nota ricorda alcuni punti fermi della normativa che possono così evidenziarsi:

  • i requisiti reddituali e patrimoniali utili per la fruizione del reddito di cittadinanza vanno riferiti al nucleo familiare, come definito sia dal D.L. n. 4/2019 convertito, con modificazioni, nella legge n. 26, che dal DPCM n. 159/2013;
  • all’interno dei limiti patrimoniali e reddituali fissati dal Legislatore, il reddito di cittadinanza non è incompatibile con una attività lavorativa svolta da uno o più componenti del nucleo familiare;
  • esiste un obbligo di comunicazione circa le variazioni riferite alla situazione patrimoniale od occupazionale o alle modifiche del nucleo familiare: ciò è detto chiaramente all’art. 3, commi 8, 9, 11 e 12 dell’art. 3 del D.L. n. 4/2019.

I controlli degli ispettori del lavoro su tali lavoratori che possono, benissimo, rientrare tra quelli soggetti a verifica durante gli usuali accessi, rientrano, per il 2019, nel c.d. “core business”: ovviamente, “l’occhio della vigilanza” tende ad accertare, soprattutto, anche per le rilevanze di natura penale, le prestazioni svolte in “nero”, da componenti del nucleo familiare.

Di qui la necessità di riepilogare per gli ispettori una serie di violazioni di natura penale che, se accertate, comportano il sollecito interessamento della Procura della Repubblica alla quale va trasmesso tutta la documentazione inerente al reato ipotizzato, entro i successivi dieci giorni all’accertamento.
Ma gli oneri, per gli ispettori, non finiscono qui nel senso che occorre informare l’INPS competente per territorio (quello di residenza del lavoratore) fornendo le generalità ed il codice fiscale del lavoratore (v. nota INL del 20 giugno 2019) quale percettore indebito di reddito di cittadinanza o appartenente ad un nucleo familiare che lo percepisce. Tale comunicazione va fatta tempestivamente e, comunque, non oltre la settimana successiva all’accertamento.

Viene punito, art. 7, comma 1, con la reclusione da due a sei anni, salvo che il fatto non costituisca un reato più grave, chi “rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, od omette informazioni dovute”: si tratta, come ben si può notare, di una fattispecie che rileva all’atto della presentazione dell’istanza per la fruizione del beneficio. Tale reato si realizza, comunque, anche nel caso in cui gli ispettori ravvisino “le prestazioni in nero” come iniziate prima della presentazione dell’istanza nel caso in cui il compenso percepito sia stato omesso nella domanda.

Il comma successivo, il 2, punisce con il carcere da uno a tre anni chi omette di comunicare variazioni del reddito o del patrimonio, pur se provenienti da attività irregolari, nonché altre informazioni che possono influire sia sulla revoca che sulla riduzione del beneficio.

Su questo punto, anche alla luce di quanto affermato dalla circolare n. 8, credo che sia necessario fare alcune riflessioni.
Il Legislatore si occupa di qualunque variazione di reddito, non necessariamente legata alla prestazione lavorativa: ovviamente, gli organi di vigilanza guardano con attenzione alla prestazione lavorativa che è riferibile non soltanto al “lavoro nero”, ma anche a quello “grigio” (rapporto a tempo parziale instaurato regolarmente ma che si svolge a tempo pieno o con un orario superiore) o anche a rapporti di collaborazione (più o meno fasulli). Ovviamente, ai fini della configurazione del reato e, quindi, della notizia da inoltrare alla Procura della Repubblica, trattandosi di una fattispecie che si realizza in un momento successivo all’avvenuta concessione del beneficio e che si configura soltanto se il reddito percepito e non comunicato avrebbe avuto riflessi sulla percezione del reddito di cittadinanza.

Qui, a mio avviso, la questione si fa abbastanza complessa laddove, per le situazioni intrinseche che si rinvengono durante un accesso ispettivo, non si riesce a ricostruire tutto il periodo irregolare oltre, ad esempio, di quello del giorno in cui l’interessato è stato trovato a prestare la propria attività “in nero”. Ricordo che la norma (art. 3, comma 9) impone al soggetto interessato di comunicare all’INPS, entro trenta giorni, la variazione della condizione occupazionale e se non si accerta la durata antecedente l’accesso ispettivo, del rapporto “in nero”, il soggetto interessato è ancora in tempo (ha trenta giorni) per effettuare la comunicazione all’Istituto e non decadere dal beneficio. Tutto questo oltre che nella norma (art. 3, commi 8 e 9) è ben evidenziato nella circolare INPS n. 43/2019.

Ma cosa succede se un componente del nucleo familiare titolare del beneficio relativo al reddito di cittadinanza avvia una attività autonoma o d’impresa?
Anche qui sussiste un obbligo di comunicazione richiesto dal comma 9 dell’art. 3: le variazioni reddituali vanno comunicate all’INPS entro il “quindicesimo giorno successivo al termine di ciascun trimestre dell’anno” oltre alla comunicazione da effettuare entro i trenta giorni dall’inizio dell’attività.

Vado ora ad esaminare, seguendo l’iter della circolare n. 8, i casi di decadenza o revoca legati direttamente all’attività lavorativa.

Ricorre la decadenza allorquando:

  • uno dei componenti del nucleo familiare viene trovato dagli organi di vigilanza a svolgere “in nero” una attività di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa senza la preventiva comunicazione obbligatoria on-line ai servizi per l’impiego;
  • uno dei componenti del nucleo familiare viene trovato a svolgere una attività di impresa o di lavoro autonomo, senza la comunicazione di inizio di attività all’INPS da effettuare entro trenta giorni dall’inizio della stessa..

Ricorre, invece, la revoca con efficacia retroattiva:

  • qualora, al termine del processo penale, sia stata accertata la responsabilità del tragressore, oltre alla condanna definitiva ne sussiste una accessoria che comporta la restituzione di quanto indebitamente percepito;
  • qualora l’Istituto abbia accertato la non veridicità della documentazione e delle informazioni prodotte a corredo dell’istanza o l’omessa comunicazione successiva delle variazioni patrimoniali o riferite ai componenti del nucleo familiare.

Da ultimo, due parole sulla maxi-sanzione legata al lavoro nero che dal 1° gennaio del 2019, per effetto dell’art. 1, comma 445, lettera d, della legge n. 145/2018 sono così articolate per ciascun lavoratore:

  • fino a 30 giorni di lavoro nero da 1.800 euro a 10.800 euro;
  • da 31 a 60 giorni di lavoro nero da 3.600 euro a 21.600 euro;
  • oltre i 60 giorni di lavoro nero da 7.200 euro a 43.200 euro.

Tali importi sono maggiorati del 20% in caso di adibizione ad attività “in nero” di un lavoratore extra comunitario privo del permesso di soggiorno o di un minore non in attività lavorativa (in questi casi sussistono anche conseguenze sotto l’aspetto penale).

Nel caso in cui il datore di lavoro impieghi illecitamente un membro componente di un nucleo familiare che fruisce del beneficio del reddito di cittadinanza, la sanzione base, già aumentata dalla legge n. 145/2018, viene ulteriormente aggravata con una maggiorazione del 20%.

La sanzione non è diffidabile e, conclude la circolare n. 8, il datore di lavoro dovrà procedere alla regolarizzazione amministrativa (comunicazione di assunzione, lettera di assunzione, registrazione sul LUL, ecc.) e contributiva del periodo “in nero” accertato.


5 Agosto 2019


Fonte : Dottrina Lavoro