Rendere più flessibile l’orario di lavoro, nel rispetto degli obblighi di legge e in base alle previsioni dettate dalla contrattazione collettiva, costituisce per il datore di lavoro una opportunità importante di esercizio del proprio potere organizzativo e direttivo. La possibilità di programmare e gestire efficacemente picchi di lavoro, adottando un orario di lavoro multiperiodale, consente, inoltre, di conseguire un buon risparmio in termini di costi per retribuzione e contribuzione.
Le aziende possono scegliere di adottare, anche contemporaneamente, le sottoindicate tipologie di orario:
a) orario flessibile: si realizza con la previsione di fasce temporali entro le quali sono consentiti l’inizio ed il termine della prestazione lavorativa giornaliera;
b) turnazioni: che consistono nella rotazione ciclica dei dipendenti in articolazioni orarie prestabilite;
c) orario multiperiodale, ovvero il ricorso alla programmazione di calendari di lavoro plurisettimanali con orari superiori o inferiori alle trentasei ore settimanali nel rispetto del monte ore previsto.
La possibilità di utilizzare l’orario multiperiodale è prevista dal decreto sull’orario di lavoro (
D.Lgs. n. 66/2003), ma è disciplinata nei suoi tratti essenziali, non nello specifico.
La disciplina di dettaglio si trova invece nei contratti collettivi, che possono:
– stabilire una durata dell’orario settimanale minore rispetto all’orario ordinario (pari, in base al decreto sull’orario di lavoro, a 40 ore settimanali);
– riferire l’orario normale alla durata media dell’attività lavorativa in un periodo non superiore all’anno.
L’azienda può osservare un orario settimanale superiore o inferiore all’orario lavorativo ordinario, secondo la variazione delle esigenze produttive, purché la media delle ore di lavoro dell’anno (o la media riferita a un periodo inferiore) corrisponda:
– all’orario normale di 40 ore settimanali;
– all’orario ordinario, inferiore, stabilito dal contratto collettivo applicato.
Nelle settimane in cui l’orario è superiore a quello normale, la maggior parte dei contratti prevede che le ore lavorative extra possano non essere retribuite con la stessa maggiorazione prevista per il lavoro straordinario, a patto che siano recuperate con periodi di riduzione dell’orario di lavoro.
I contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative) possono disciplinare i seguenti aspetti del regime di flessibilità dell’orario:
– limite massimo dell’orario;
– retribuzione per le ore aggiuntive e in caso di orario ridotto;
– procedure necessarie per applicare la flessibilità;
– contrattazione aziendale sull’organizzazione dell’orario.
Occorre tener presente che la durata media dell’orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di 7 giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
I contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo rapportato a 4 mesi, 6 mesi ovvero 12 mesi ma in ogni caso non superiore all’anno.
Fonte: WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro