Lavoro: novità decreto dignità

orna la causale per il tempo determinato, più costoso il rinnovo dei contratti, accorciata la durata massima, niente incentivi per chi licenzia: che cosa cambia col decreto d’estate.
Guerra al precariato: è questa la finalità principale del cosiddetto decreto dignità, o decreto d’estate, che è appena diventato legge. Sono numerose le novità in tema di lavoro che limitano gli strumenti di flessibilità: si va dalla riduzione della durata e dalla reintroduzione della causale nel contratto a termine, alla riduzione del numero delle proroghe, all’aumento dei contributi per ogni rinnovo del contratto. Nuovi limiti anche ai contratti di somministrazione: il ricorso a questo tipo di rapporto, in particolare, è possibile solo se i lavoratori interinali non superano il 30% dell’organico totale; anche per la somministrazione è previsto l’aumento dei contributi ad ogni rinnovo contrattuale, e sono disposte le ulteriori limitazioni valide per i contratti a termine, salvo alcune eccezioni. Addio agli incentivi, poi, per le imprese che riducono l’occupazione nell’unità produttiva o nell’attività interessata dall’aiuto, e guerra a chi delocalizza, anche dentro l’Unione Europea. Il bonus per l’assunzione degli under 35, però, è confermato sino al 2020. Stretta sui licenziamenti, con indennizzi che possono arrivare sino a 36 mensilità. Ma facciamo subito il punto della situazione sul lavoro: novità decreto dignità, quali sono e che cosa cambia per aziende e lavoratori.

Novità contratto a termine
Per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, le novità sono numerose. Torna, innanzitutto, la causale del contratto, cioè la motivazione che giustifica il ricorso al termine. La causale non è obbligatoria soltanto per i contratti di durata inferiore ai 12 mesi, ma diventa obbligatoria, a prescindere dalla durata del rapporto (la cui durata massima si abbassa di un anno), al primo rinnovo, e per le proroghe che renderanno la durata del contratto superiore a 12 mesi.

Le causali che giustificano il contratto a termine sono:

  • esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonchè sostitutive;
  • esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili d’attività.

Per ogni rinnovo, a partire dal secondo, l’aliquota contributiva (cioè la percentuale a titolo di contributi applicata alla retribuzione) aumenterà di 0,5 punti. Sarà sempre dovuta l’aliquota addizionale Aspi (ora Naspi) dell’1,40%.

La durata massima del contratto diventa pari a 24 mesi, non più a 36: ciò significa che, se la durata del rapporto tra l’azienda e il lavoratore, adibito alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti, supera i 24 mesi, il contratto diventa a tempo indeterminato.

Il numero massimo di proroghe del contratto scende da 5 a 4. Il numero massimo di lavoratori utilizzabili a tempo determinato è pari al 20% dell’organico aziendale, salvo che il contratto collettivo applicato non preveda diversamente.

Inoltre, è previsto un periodo transitorio di applicazione della nuova normativa: in particolare, per i rinnovi dei contratti in corso al 14 luglio 2018, non saranno obbligatorie le causali sino al 31 ottobre 2018.

Come funziona il regime transitorio del contratto a termine
Le nuove regole sul contratto a termine non sono uguali per tutti, ma dipendono dalla data di assunzione e dalle date in cui sono effettuate eventuali proroghe e rinnovi.

Nel dettaglio, sono previsti diversi regimi:

  • se il rapporto a termine era in corso al 14 luglio 2018, è possibile continuare ad applicare senza modifiche il vecchio regime che non prevede le causali sino al 31 ottobre, anche per proroghe e rinnovi, a prescindere dalla durata complessiva del contratto;
  • se il rapporto a termine è stato stipulato dal 14 luglio e la sua durata complessiva supera i 12 mesi, deve essere obbligatoriamente indicata la causale;
  • se il rapporto a termine è stato stipulato dal 14 luglio e sino all’11 agosto senza causale, ma interviene un rinnovo o una proroga che determina il superamento dei 12 mesi di durata complessiva, fino al 31 ottobre continua ad applicarsi il vecchio regime per le proroghe e i rinnovi, quindi le motivazioni del ricorso al termine non dovrebbero essere indicate; quest’interpretazione del decreto Dignità non è, però, unanime, pertanto è opportuno attendere chiarimenti ufficiali;
  • se il contratto è stipulato dal 12 agosto in poi, le nuove regole valgono da subito.

Rapporto a termine senza causale con i contratti di prossimità
La previsione della causale obbligatoria, per i contratti a termine oltre i 12 mesi, e per i rinnovi e le proroghe che determinano il superamento di questa soglia, sta creando non pochi problemi nell’amministrazione del personale. Molti non sanno, però, che il decreto Dignità non ha abolito la normativa sui contratti di prossimità [1]: i contratti collettivi di secondo livello, che possono essere sia territoriali che aziendali, difatti, possono modificare la disciplina del contratto a tempo determinato, in deroga sia alla normativa che ai contratti collettivi nazionali, comprese le disposizioni che riguardano le causali.

I contratti di prossimità, per poter derogare alla legge, devono però prevedere una delle seguenti finalità: maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro nero, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività.

Possono essere previste dai contratti di prossimità, ad esempio, nuove causali, ossia ragioni più elastiche che giustifichino il ricorso al tempo determinato: l’importante è che non si perda di vista la finalità del contratto di secondo livello, e che questo non sia puramente volto a bypassare le nuove previsioni del decreto Dignità.

Novità contratto di somministrazione
Sarebbe dovuto cambiare profondamente anche il contratto di somministrazione, cioè quello stipulato dal lavoratore con un’agenzia interinale (ora agenzia per il lavoro), per prestare l’attività lavorativa presso un’azienda utilizzatrice. Questo contratto, inizialmente, era assoggettato dal decreto Dignità agli stessi vincoli previsti per il rapporto a termine; i correttivi attualmente allo studio, invece, hanno significativamente abbassato la portata delle novità.

Per la somministrazione a tempo determinato, così come per il contratto a tempo determinato, è stato deciso l’aumento dei contributi dello 0,5% per ogni rinnovo, a partire dal secondo.

La durata massima del contratto di somministrazione, in base alle modifiche apportate dal decreto Dignità, è pari a 24 mesi, con un massimo di 4 proroghe, proprio come per il rapporto a termine ordinario.

In precedenza, era pari a:

  • 36 mesi, con un massimo di 6 proroghe;
  • 42 mesi, con un massimo di 6 proroghe, qualora nei primi 24 mesi fossero state effettuate un massimo di 2 proroghe.

Il periodo di pausa tra un contratto e l’altro, invece, non sarà essere applicato ai rapporti di somministrazione, in base alle ultime modifiche del decreto attualmente allo studio. Inoltre, per le agenzie non sono previste le causali del contratto, obbligatorie invece per gli utilizzatori.

Mentre resta, come abbiamo visto, per gli ordinari contratti a tempo determinato, il limite del 20% dei lavoratori a termine che un’azienda può assumere, arriva una seconda soglia per la somministrazione a termine: la nuova soglia, in particolare, è pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula dei contratti di somministrazione stessi. Nel computo della percentuale indicata, il legislatore ha incluso anche gli eventuali contratti a termine in forza presso il datore di lavoro.

Questi limiti possono però essere cambiati dalla contrattazione collettiva (di qualsiasi livello); inoltre, esiste una previsione che ne esclude l’applicazione per la somministrazione a termine dei lavoratori svantaggiati. Se si supera il numero massimo di lavoratori, per quanto riguarda la somministrazione a termine, scatta una sanzione da 250 a 1.250 euro per l’utilizzatore, ma il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro all’utilizzatore.

Le conseguenze sono diverse per gli ordinari contratti a termine: si applica infatti una sanzione dal 20 al 50% della retribuzione dei lavoratori assunti a tempo determinato oltre il limite massimo consentito (a seconda che il numero di questi ultimi sia pari o superiore a uno).

Cresce l’indennità di licenziamento
Arriva una stretta sui licenziamenti illegittimi: l’indennità da corrispondere al lavoratore, difatti, sale da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Ad oggi, l’indennità va da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità, per i dipendenti delle aziende più grandi.

Nuovi voucher per turismo e agricoltura
Dopo il flop del contratto di prestazione occasionale e del libretto famiglia non sono stati reintrodotti i tanto discussi voucher, cioè i buoni per le prestazioni di lavoro occasionale accessorio: i contratti di prestazione occasionale, ossia i cosiddetti nuovi voucher, sono invece resi più elastici, ed estesi a un maggior numero di aziende che operano nei settori del turismo e dell’agricoltura. In particolare, la comunicazione a consuntivo della prestazione occasionale potrà essere effettuata entro 10 giorni anziché 3 (resta comunque ferma la comunicazione di avvio attività, da effettuarsi almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione), ed i nuovi voucher potranno essere attivati anche dalle aziende agricole con non più di 5 dipendenti, e dalle aziende del settore turismo con non più di 8 dipendenti. I pagamenti delle prestazioni potranno avvenire anche alle poste, dopo 15 giorni dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Nel settore agricolo deve essere autocertificata la non iscrizione nell’anno precedente agli elenchi degli agricoli.

Novità incentivi all’occupazione
Se un’impresa, destinataria di incentivi e agevolazioni, riduce prima di 5 anni l’occupazione nell’unità produttiva o nell’attività interessata dagli aiuti, perde tutti gli incentivi. Le nuove disposizioni si riferiscono agli aiuti di Stato che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale ai fini dell’attribuzione dei benefici. Tuttavia, in un punto successivo del decreto si prevede l’applicazione della revoca delle agevolazioni anche per altri aiuti: basta che la riduzione dell’occupazione (senza un limite minimo stabilito) abbia impatti industriali o economici perché si perdano gli aiuti. È il caso, ad esempio, degli incentivi alla ricerca.

Il bonus per l’assunzione di giovani under 35 è confermato anche per il 2019 ed il 2020: l’età del lavoratore da assumere non scenderà, sino al 2020, al tetto massimo di 29 anni.

Stop alla delocalizzazione
Per quanto riguarda la delocalizzazione delle aziende, sono punite non solo le operazioni che avvengono al di fuori dell’Unione Europea, ma anche le delocalizzazioni all’interno della Ue. Ricordiamo che per delocalizzazione si intende il fenomeno per cui un’azienda italiana chiude gli impianti in Italia e li trasferisce in un altro Paese, generalmente un Paese a basso costo unitario del lavoro.

Se un’impresa fruisce di aiuti di Stato e poi delocalizza gli impianti entro 5 anni, secondo la nuova normativa i contributi devono essere restituiti con gli interessi, calcolati al tasso di riferimento vigente al momento dell’erogazione e maggiorati fino a 5 punti. Viene poi applicata una sanzione, che va da 2 a 4 volte l’importo indebitamente fruito (che si tratti di un contributo, di un finanziamento agevolato, una garanzia o una diversa agevolazione).

La normativa, se confermata nella versione attualmente in bozza, dovrebbe essere applicabile anche agli interventi già in vigore, compresi gli iperammortamenti fiscali di Industria 4.0.

note
[1] Art.8 L. 148/2011.


12 Settembre 2018