2018: incentivi strutturali per l’ occupazione stabile [E. MASSI]

15 Novembre, 2017   |  

Con la presentazione in Senato del disegno della legge di bilancio concernente il 2018, catalogato A.S. n. 2960, è iniziato il cammino delle disposizioni che, a partire dal 1 gennaio 2018, dovrebbero incidere su molti aspetti della vita del nostro Paese.
In questa breve riflessione mi soffermerò su due articoli, il 16 che disciplina l’incentivo strutturale all’ occupazione stabile giovanile ed il 74 che riguarda i benefici previsti per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno.

L’obiettivo che mi pongo è, unicamente, quello di riflettere sulle possibili novità che, ovviamente, dovranno passare al vaglio parlamentare ma che, fatte salve alcune specifiche correzioni, dovrebbero restare, sostanzialmente, uguali.

ART. 16: Incentivo strutturale all’ occupazione stabile giovanile

L’Esecutivo (comma 1) intende favorire l’occupazione stabile dei giovani attraverso la promozione del contratto a tempo indeterminato (si citano, a mio avviso, impropriamente, le tutele crescenti ex D.L.vo n. 23/2015 che riguardano il momento della cessazione del contratto a tempo indeterminato): dal 1° gennaio 2018 viene riconosciuto, per un massimo di 36 mesi, un esonero contributivo pari al 50% dei complessivi contributi previdenziali, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 3.000 euro all’anno, riparametrato e applicato su base mensile. Dall’ambito di applicazione (comma 11) sono esclusi il rapporto di lavoro domestico ed il contratto di apprendistato che “gode” della propria contribuzione specifica e delle altre agevolazioni indicate dal D.L. vo n. 81/2015 e, per le imprese artigiane, dalle altre indicazioni fornite dalla legge n. 443/1985.

L’assunzione, non essendoci una preclusione specifica, potrà avvenire anche a tempo parziale, nel rispetto, laddove individuato dalla contrattazione collettiva, del limite orario settimanale.
Il beneficio, (comma 11) non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previste dalla normativa vigente (ad esempio, Garanzia Giovani o il 20% di NASPI in caso di assunzione di un disoccupato a tempo pieno ed indeterminato fruitore del trattamento di disoccupazione), con la sola eccezione delle agevolazioni previste per le Regioni del Meridione dall’art. 74, cosa che dovrebbe consentire il raggiungimento del 100% degli sgravi contributivi, per dodici mesi, per i rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato instaurati nel corso del 2018.

L’esonero spetterà ai datori di lavoro privati (comma 2) che assumeranno giovani che non abbiano compiuto i 30 anni e non siano stati occupati a tempo indeterminato con lo stesso datore o con altro datore, fatta salva l’ipotesi della riassunzione di un lavoratore presso altro datore di lavoro dopo un periodo agevolato (comma 4).

Non sono ostativi al riconoscimento del beneficio gli eventuali periodi di apprendistato “lavorati” presso un altro datore e non “consolidati” (così dovrebbe essere intesa la frase, non felice, che dice “non proseguiti in rapporto a tempo indeterminato”, in quanto l’apprendistato è “ab initio” a tempo indeterminato, come afferma l’art. 41, comma 1, del D.L. vo n. 81/2015).
Limitatamente al 2018 (comma 3) l’agevolazione contributiva viene riconosciuta alle stesse condizioni anche in favore di quei datori di lavoro che assumano soggetti che non abbiano superato i 35 anni: anche per costoro sussiste la previsione secondo la quale non devono aver avuto rapporti a tempo indeterminato con lo stesso o altro datore di lavoro a meno che il rapporto non si sia risolto con imprenditori che già hanno fruito, parzialmente, dell’agevolazione ex art. 16.

In attesa della definitiva approvazione dei chiarimenti che, sicuramente, arriveranno dall’INPS, ritengo opportuno fare alcune considerazioni.

Il Legislatore, parlando dei benefici contributivi, adopera termini già utilizzati sia con l’esonero triennale previsto dalla legge n. 190/2014 che con quello biennale disciplinato dai commi 178 e 179 dell’art. 1, della legge n. 208/2015.

Ciò sta a significare, come già chiarito, ad esempio con la circolare INPS n. 57/2016, che nella definizione del tetto massimo di agevolazione contributiva annua pari al 50% dei contributi dovuti per un importo massimo fissato a 3.000 euro non rientreranno (e quindi saranno dovuti):

i premi e contributiINAIL;
i contributi, se dovuti, al Fondo per l’erogazione del TFR previsto dall’art. 2120 c.c.;
i contributi, se dovuti, ai Fondi bilaterali per l’integrazione salariale o a quello di integrazione salariale di cui parla il D.L. vo n. 148/2015;
il contributo per il finanziamento del Qu.I.R. ex art. 1, comma 29, della legge n. 190/2014;
lo 0,30% previsto dall’art. 25, comma 4, della legge n. 845/1978 per i datori che aderiscono ai fondi interprofessionali;
il contributo di solidarietà per la previdenza complementare ed i fondi di assistenza sanitaria ex lege n. 166/1991;
il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo e quello per gli sportivi professionisti previsti dal D.L. vo n. 166/1997.
Per quel che riguarda l’ambito di applicazione della normativa, il riferimento è ai datori di lavoro privati (compresi i professionisti, le associazioni e le fondazioni) ove, a mio avviso, rientrano anche gli Enti pubblici economici con la sola esclusione dei datori di lavoro pubblici indicati dall’art. 1, comma 2, del D.L. vo n. 165/2001 e di quelli domestici il cui contratto è escluso dall’ambito delle agevolazioni.

L’incentivo viene riconosciuto su base mensile: ciò significa, ad esempio, che per la fruizione dello stesso, si dovrebbe seguire il procedimento già ipotizzato dall’INPS fin dai tempi dell’esonero triennale con la circolare n. 17/2015.

L’agevolazione postula una “conditio sine qua non”: il giovane, fatta salva l’ipotesi di un contratto di apprendistato, non deve essere stato mai assunto a tempo indeterminato né presso il datore “assumente”, né presso altro datore.
Qui, se la norma rimarrà cosi, occorrerà chiarire se la disposizione riguardi anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato con contratto di lavoro intermittente (la logica ed il buon senso propenderebbero per il no, atteso che il lavoro dipende unicamente dalla “chiamata” del datore e non presenta alcunché di stabile).

Se, come detto, la disposizione non subirà cambiamenti, potrebbero evidenziarsi alcuni problemi legati al fatto che sarebbero esclusi dalla opportunità occupazionale agevolata giovani che, magari, hanno già avuto un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ma dal quale si sono dimessi, per le più svariate ragioni (lavoro non soddisfacente, o limitato nell’orario), o, magari, sono stati licenziati per un giustificato motivo oggettivo (crisi aziendale, chiusura di reparto o unità produttiva, esternalizzazione, cambio di appalto con riduzione delle ore lavorate, ecc.).

Mi chiedo: perché, dal momento che si parla di lotta alla disoccupazione debbono essere esclusi, creando una inutile disparità tra i giovani?

La questione, però, riguarda anche i datori di lavoro: come faranno costoro ad avere la certezza che il giovane non ha avuto precedenti rapporti a tempo indeterminato? Dovranno chiedere (non essendo sufficiente una auto certificazione e non essendoci più, da anni, il libretto di lavoro) un “certificato storico” di iscrizione nelle liste per l’impiego (con aggravio di burocrazia e, tra l’altro, i data base dei centri per l’impiego non registrano, sempre, i rapporti instaurati in altre Regioni)? E, poi, se nei limiti della prescrizione quinquennale, gli organi di vigilanza dovessero ricondurre a subordinazione un precedente rapporto di collaborazione, cosa succederebbe, mancando il requisito dell’assenza di subordinazione a tempo indeterminato? Probabilmente, l’INPS potrebbe richiedere lo sgravio contributivo indebito, con tutte le conseguenze del caso (ed i precedenti, in tal senso, si sono già avuti con l’esonero triennale).

L’esecutivo si è preoccupato di porre limiti per contrastare una utilizzazione capziosa del provvedimento: di  qui la specificazione (comma 5) che l’esonero contributivo non verrà riconosciuto in favore di quei datori di lavoro che nel semestre precedente l’assunzione hanno proceduto nell’unità produttiva interessata all’assunzione (per la qualificazione di quest’ultima è opportuno fare, a mio avviso, riferimento alla circolare INPS n. 9/2017) a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (art. 3 della legge n. 604/1966)  o a licenziamenti collettivi giunti al termine dell’iter previsto dalla legge n. 223/1991. Il blocco dell’esonero (con la revoca dello stesso  e con la restituzione dell’indebito) scatterà anche (comma 6) nel caso in cui, nei sei mesi successivi alla instaurazione del rapporto, il datore  proceda al licenziamento dello stesso lavoratore o di altro dipendente  impiegato, con la stessa qualifica, nell’unità produttiva (e qui, credo, che debba valere quanto previsto dal nuovo art. 2103 c.c. in tema di mansioni e della possibile utilizzazione “in orizzontale” del lavoratore nel livello della categoria legale di inquadramento).

Gli effetti negativi della revoca non incidono sulla posizione di un altro datore che dovesse procedere, nel periodo residuo utile alla fruizione dell’esonero, all’assunzione del lavoratore: per la prima volta, nel nostro ordinamento, viene infatti, prevista, in favore del giovane interessato, una sorta di portabilità del beneficio che non è soggetta alle “vicende” relative al primo rapporto di lavoro.

Il beneficio, ricorda il comma 5, viene riconosciuto nel rispetto delle condizioni individuate dall’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 e, aggiungo, pur se la disposizione nulla dice, nel rispetto delle condizioni fissate dall’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 che hanno una valenza generale: sarà, comunque, l’INPS che ha il monitoraggio sull’andamento delle agevolazioni (comma 12) a dettare, a tempo debito, le indicazioni operative anche relativamente alla possibile applicazione della normativa europea sugli aiuti di Stato.
Il Governo (comma 7) non ha dimenticato neanche l’apprendistato che già fruisce di specifiche disposizioni agevolatrici (contributive, economiche, normative e fiscali): in caso di consolidamento del rapporto e qualora il giovane non abbia compiuto, in quel momento, il trentesimo anno di età, viene riconosciuto, per dodici mesi, l’esonero contributivo pari ad un massimo di 3.000 euro. Tale beneficio scatta, sostanzialmente, dal tredicesimo mese successivo al “consolidamento” del rapporto: ciò si evince, chiaramente, dalla norma che fa salva la contribuzione di favore (10%) prevista dall’art. 47, comma 7, del D.L. vo n. 81/2015 per i dodici mesi successivi alla fine del periodo formativo.

Da quanto appena detto scaturisce che se il giovane apprendista confermato ha un’età superiore ai trenta anni, il bonus contributivo c’è, soltanto, per i dodici mesi successivi, nella misura contributiva pari al 10%, per effetto dell’art. 47, comma 7.
Anche il contratto a tempo determinato convertito, a partire dal 1° gennaio 2018, consente la fruizione della agevolazione: ovviamente si richiede, quale condizione necessaria, il possesso del requisito anagrafico (meno di trenta anni e meno di trentacinque per il 2018) alla data della trasformazione del rapporto. Ricordo che, per effetto di altra disposizione, contenuta nella legge n. 92/2012, il datore può ottenere la restituzione della contribuzione aggiuntiva dell’1,40%, se pagata (non è dovuta, ad esempio, se il contratto è stato stipulato per sostituzione di una donna assente per maternità).

In via amministrativa (l’INPS ha già risolto positivamente il dilemma in circostanze analoghe come quelle dell’esonero triennale e di quello biennale) occorrerà chiarire se anche la somministrazione a tempo indeterminato, attesa la sostanziale equiparazione al contratto a tempo indeterminato, rientri tra le tipologie contrattuali agevolabili e se vi rientrino anche quelle agricole a tempo indeterminato, ove per gli operai sussiste una contribuzione particolare. La domanda non è peregrina in quanto per gli operai agricoli a tempo indeterminato il Legislatore previde disposizioni particolari nell’ambito delle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 che non si rinvengono nel testo che sto commentando. Ovviamente, come ben già specificato dall’Istituto per l’esonero biennale, le assunzioni degli impiegati agricoli a tempo indeterminato potrebbero essere oggetto di agevolazioni. Ovviamente, su tutto questo si attendono, fiduciosamente, lumi se la norma non cambierà.

L’esonero contributivo (comma 9) si applica anche alle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dai datori di lavoro privati nei sei mesi successivi all’acquisizione del titolo di studio di:

studenti che hanno svolto presso lo stesso datore (condizione essenziale) attività di alternanza scuola-lavoro per almeno il 30% delle ore previste dall’art. 1, comma 33, della legge n. 107/2015, o per almeno il 30% del monte ore previsto per le attività di alternanza all’interno dei percorsi ex capo III del D.L.vo n. 226/2005, o per almeno il 30% delle ore previste per le attività di alternanza realizzata nell’ambito dei percorsi individuati al capo II del DPCM 25 gennaio 2008, o per almeno il 30% del monte ore previsto dai rispettivi ordinamenti per le attività di alternanza nei percorsi universitari;
studenti che hanno svolto, presso lo stesso datore di lavoro assumente, periodi di apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore (art. 43 del D.L. vo n. 81/20159 o periodi di apprendistato in alta formazione (art. 45 del D.L. vo n. 81/2015).
La norma non è nuova nel nostro ordinamento: essa appare una perfetta riedizione di quanto già previsto dall’art. 1, commi 308, 309 e 310, della legge n. 232/2016 e disciplinata, sotto l’aspetto amministrativo, dalla circolare INPS n. 109/2017. Ciò viene, palesemente, dimostrato, dal comma 10 che abroga, dal 1° gennaio 2018, i commi appena citati.

Ma, allora, cosa cambia rispetto alle disposizioni abrogate?

I benefici prima riservati alle assunzioni effettuate unicamente negli anni 2017 e 2018, divengono strutturali ed inoltre, fermo restando il periodo triennale di agevolazione che parte dal momento della instaurazione effettiva del rapporto, gli stessi vengono ridotti, nell’importo massimo da 3.250 euro su base annua a 3.000 euro.

ART. 74: Agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno

L’art. 74 non è immediatamente operativo in quanto rimanda, per l’anno 2018, l’integrazione dell’esonero contributivo previsto dall’art. 16, alla attivazione di programmi operativi nazionali (PON), cofinanziati da Fondo sociale europeo e di programmi operativi complementari (POC), nell’ambito degli obiettivi specifici e nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di Stato: essi riguarderanno le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori “under 35” effettuate nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre 2018, in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

Il beneficio potrà riguardare anche soggetti “over 35”, privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.

Per costoro, mediante i PON ed i POC, sarà possibile, derogando al comma 11 che prevede la non cumulabilità tra le agevolazioni, giungere al 100% dell’esonero, ovviamente nei limiti degli importi annui previsti dai Programmi Operativi.

La norma appena commentata richiede, a mio avviso, alcune precisazioni.

La prima è che con l’art. 74 assistiamo per il 2018 al “prolungamento” del c.d. “bonus Sud” che, sotto l’aspetto puramente amministrativo è stato declinato, per le assunzioni relative all’anno in corso, dalla circolare INPS n. 41/2017.

La seconda riguarda il concetto espresso con la frase “privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi”. La risposta è nel D.M. del Ministro del Lavoro del 20 marzo 2013: essi sono “coloro che negli ultimi sei mesi non hanno prestato attività lavorativa riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato dalla durata di almeno sei mesi, ovvero coloro che negli ultimi sei mesi hanno svolto attività lavorativa in forma autonoma o parasubordinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione”. Tali limiti reddituali sono, al momento, fissati in 8.000 euro per il lavoro subordinato ed il 4.800 euro per il lavoro autonomo.



Fonte : Dottrina Lavoro