Le sanzioni nelle nuove prestazioni occasionali [E.Massi]

1 Settembre, 2017   |  

Il 9 agosto 2017, con la circolare n. 5, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alle proprie articolazioni periferiche le prime indicazioni operative finalizzate a sanzionare i comportamenti di chi usa le nuove prestazioni occasionali previste dall’art. 54-bis della legge n. 96/2017 in modo difforme da quanto previsto dalla norma.
Ho avuto, già, più volte, l’occasione per esaminare ampiamente la nuova normativa e, quindi, non starò a ripetere quanto già detto in precedenti occasioni: mi soffermerò unicamente, invece, su quanto la nota dell’INL, afferma in ordine alla tracciabilità ed all’apparato sanzionatorio perchè, a mio avviso, pur trattandosi di “prime indicazioni” che postulano “successivi approfondimenti”, peraltro preannunciati, si poteva dire qualcosa in più e, soprattutto, meglio.

Ma, andiamo con ordine,
Dopo aver ricordato che le prestazioni sono tracciate attraverso una apposita comunicazione da inviare alla piattaforma informatica dell’INPS, direttamente o con l’ausilio di professionisti “ex lege” n. 12/1979 o patronati (questi ultimi soltanto per le famiglie), utilizzando anche i centri di contatto predisposti dall’Istituto, la nota dell’Ispettorato, afferma, a chiare note, anche perché il concetto è ripetuto in un passaggio successivo, che tale obbligo non riguarda la Pubblica Amministrazione.

Ma da dove nasce questo convincimento?

Non è dato sapere anche perché le uniche differenze che distinguono tali soggetti pubblici (che sono quelli evidenziati nell’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001) riguardano (comma 7) l’assenza del limite dimensionale dei cinque dipendenti a tempo indeterminato, il rispetto dei vincoli finanziari relativi alle spese di personale e le esigenze temporanee ed eccezionali riscontrabili in alcune attività progettuali per soggetti emarginati, poveri, disabili, per attività solidaristiche e per l’organizzazione di manifestazioni culturali, sociali, sportive o caritative. Come si vede, non c’è alcuna disposizione che eviti una comunicazione preventiva a carico delle Amministrazioni Pubbliche (come deve essere), né, d’altra parte, ce n’è qualcun’altra che parli di comunicazione “ex post” come avviene per le prestazioni occasionali rese all’interno della famiglia.

Ora, a parte l’incongruità dell’asserto contenuto nella circolare n. 5, che evita questo adempimento, mi pongo quattro domande:

come farà, ammesso che le parti (utilizzatore pubblico e prestatore) si siano registrate preventivamente in piattaforma, l’INPS a pagare il 15 del mese successivo a quello in cui è stata prestata l’attività, le prestazioni ai lavoratori interessati attraverso accredito sul conto corrente o bonifico se non ha ricevuto, oltre alla provvista economica, la comunicazione, come afferma, a chiare note, la circolare n. 107/2017 dell’Istituto la quale, sul punto, non sembra fare sconti a nessuno?
come farà l’INPS, senza alcuna comunicazione, a verificare che il prestatore non superi il limite complessivo dei 5.000 euro netti e quello, presso lo stesso utilizzatore, fissato a 2.500 euro?
come farà l’INPS a tenere il conto delle ore complessive che il lavoratore può prestare nel periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre di ogni anno?
come farà il prestatore a dare conferma della prestazione effettuata, come consente, per tutti i lavoratori, la circolare n. 107/2017 attraverso un semplice SMS, se il contratto occasionale non è stato attivato?
Misteri “romani”, anche se, probabilmente, si cercherà di ovviare attraverso qualche “pasticciata” interpretazione amministrativa, che non sembra trovare conforto nel dettato normativo, o una correzione legislativa della quale, francamente, non se ne ravvisa la necessità: forse si cerca di non oberare di adempimenti amministrativi la Pubblica Amministrazione, cosa che, invece, si richiede (e si sanziona in caso di inadempimento) al comune cittadino. Tra l’altro, e poi chiudo su questo argomento, già le stesse conseguenze sono diverse in quanto, in caso di sforamento, non sussiste la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato alla luce del dettato contenuto nell’art. 97 della Costituzione.

Passo, ora, ad esaminare l’apparato sanzionatorio descritto dalla circolare n. 5.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro sottolinea come il superamento dei 2.500 euro da parte di un utilizzatore per ogni singolo prestatore (comma 1, lettera c) o comunque del limite di durata della prestazione fissato in 280 ore nell’anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) o nel diverso limite previsto in agricoltura ove le retribuzioni orarie a seconda dell’area di riferimento sono 9,65, 8,80 e 6,56, comporti “la trasformazione del relativo rapporto nella tipologia di lavoro a tempo pieno ed indeterminato a partire dal giorno in cui si realizza il superamento, con applicazione delle sanzioni civili ed amministrative”. Tale trasformazione non riguarda, ovviamente, la Pubblica Amministrazione ove, come già detto, si entra in organico per concorso o selezione pubblica.

Fin qui, la nota ministeriale che ribadisce come la sanzione normativa scatti al superamento del tetto massimo del compenso o, in alternativa, al raggiungimento del tetto orario (è sufficiente uno soltanto dei requisiti). La circolare poteva ben specificare che in relazione ai compensi previsti in agricoltura per le singole aree, riportate nel messaggio INPS n. 2887 del 12 luglio 2017 (rispettivamente, 9,65, 8,80 e 6,56), il numero massimo delle ore lavorabili sono 259 per l’area 1, 284 per l’area 2, e 381 per l’area 3. Ugualmente avrebbe potuto chiarire, mettendo in guardia sia gli ispettori che, soprattutto, le famiglie, che nelle prestazioni occasionali domestiche, ove il compenso orario netto è pari ad 8 euro, il tetto delle 280 ore si raggiunge con 2.240 euro e che, quindi, in ambito familiare, se si dovesse raggiungere il tetto dei 2.500 il “rischio” della trasformazione del rapporto a tempo pieno ed indeterminato è reale.
Il Legislatore, nell’intento di eliminare, il più possibile, il ricorso a forme elusive, vieta (comma 5), nel modo più assoluto, le prestazioni occasionali in favore di un utilizzatore rese da soggetti che abbiano in corso con lo stesso, rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa: tale divieto sussiste anche nel caso in cui i rapporti predetti siano cessati da meno di sei mesi. Riferendosi, evidentemente, soltanto a tale ultima ipotesi, la circolare n. 5, giustamente, rileva un vizio “genetico” nella prestazione occasionale e, di conseguenza, afferma che, accertata la natura subordinata del rapporto, lo stesso si considera convertito sin dall’inizio in contratto a tempo pieno ed indeterminato, con tutte le conseguenze del caso. Nel caso in cui, invece, (ma la nota dell’INL non tratta le conseguenze di questa ipotesi) le prestazioni occasionali fossero prestate da un soggetto che ha in corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’utilizzatore, non si potrà, evidentemente, parlare di conversione ma le eventuali prestazioni ulteriori dovranno essere retribuite e contribuite nei modi usuali e gli ispettori vedranno, ragionando sul caso concreto, se ci sono sanzioni amministrative da irrogare (ad esempio, superamento del limite di lavoro straordinario).

La circolare n. 5 continua il proprio “excursus” affermando che “sui divieti di cui al comma 5 va altresì chiarito che gli stessi, stante la formulazione normativa, non trovano comunque applicazione in relazione al personale utilizzato attraverso lo strumento della somministrazione”.

E’ questa, a mio avviso, una frase un po’ contorta che va spiegata (e spero di prenderci): escluso che si possa ritenere possibile che le prestazioni occasionali passino attraverso la somministrazione (lo vieta, a mio avviso, sia l’impianto normativo dell’art. 54-bis ove il rapporto appare “diretto” tra utilizzatore e prestatore, che la stessa definizione dell’art. 30 del D.L.vo n. 81/2015), ritengo che la frase intenda dire (ma la cosa appare ovvia) che il divieto non sussiste allorquando i lavoratori che hanno avuto un precedente rapporto autonomo o subordinato con lo stesso utilizzatore nei sei mesi precedenti, vengano utilizzati attraverso un contratto di somministrazione.

Nel passaggio successivo la circolare dell’INL si occupa della sanzione specifica prevista dal Legislatore compresa tra 500 e 2.500 euro che trova applicazione (comma 20) nel caso in cui sussista una violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva o di violazione di uno dei divieti individuati al comma 14: la sanzione si applica “per ogni prestazione lavorativa giornaliera per cui risulti accertata la violazione”. Essa non è diffidabile e, applicando la misura ridotta postulata dall’art. 16 della legge n. 689/1981, è pari ad 833,33 euro per ogni giornata non tracciata.

Prima di entrare nel merito della specifica applicabilità della sanzione, secondo l’indirizzo operativo espresso dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro va chiarito che per:

violazione dell’obbligo di comunicazione alla piattaforma informatica, si intende una comunicazione effettuata in ritardo (e non almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione), o carente di uno o più elementi richiesti dal Legislatore (dati anagrafici ed identificativi del prestatore, luogo di svolgimento ed oggetto della prestazione, data ed ora di inizio e di termine dell’attività, fatte salve le particolarità per il settore agricolo e compenso pattuito), o con elementi diversi da quanto accertato (ad esempio, un numero di ore superiori rispetto a quelle comunicate, cosa che comporta una immediata segnalazione alla sede INPS);
divieti posti dal comma 14: vi rientrano gli utilizzatori che occupano più di cinque dipendenti (calcolati secondo i criteri fissati dalla circolare INPS n. 107/2017) e che, quindi, non possono accedere alle prestazioni occasionali, i datori di lavoro agricoli che utilizzano soggetti “svantaggiati” iscritti nell’anno precedente negli elenchi anagrafici, le imprese escluse “ex lege” perché operanti nei settori edili ed affini, lapidei, cave, torbiere, ecc. (l’INPS, nella circolare n. 107/2017 ne declina, ai fini del riconoscimento, i codici identificativi) e, infine, i datori che utilizzano le prestazioni occasionali in appalti di opere e servizi.
Tornando alla nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si resta, a mio avviso, perplessi circa le modalità di computo della sanzione “in misura ridotta”: afferma la circolare che “laddove venga riscontrata la violazione degli obblighi di cui sopra in relazione a più lavoratori, la sanzione ridotta risulterà essere il prodotto tra il citato importo di euro 833,33 e la somma delle giornate lavorative non regolarmente comunicate ovvero effettuate in violazione dei divieti di cui al comma 14”.

Tale indirizzo è stato ribadito con la lettera n. 7427 dello stesso Ispettorato datata 21 agosto 2017.

A me pare che nella moltiplicazione sopra riportata manchi qualcosa proprio perché si riferisce “a più lavoratori”: infatti se, ad esempio, dovesse essere accertato che presso un utilizzatore titolare di un ristorante per le due giornate di sabato e domenica hanno prestato la loro attività (con comunicazione tardiva) tre lavoratori, atteso che la norma fa riferimento ad “ogni prestazione lavorativa giornaliera” la moltiplicazione deve, a mio avviso, prevedere che l’importo della sanzione sia pari ad 833,33 euro per il numero delle giornate lavorative non comunicate regolarmente (due) e per il numero dei lavoratori coinvolti (tre). Credo che questa sia la lettura che emerge dal dettato normativo: una, diversa, oltre che non essere in linea con la disposizione, e con precedenti indirizzi espressi per il lavoro intermittente con la circolare n. 27/2013 (anche se, successivamente, “affievoliti” con il concetto di “unica sanzione” per un ciclo integrato di 30 giornate), potrebbe portare a favorire un uso “distorto” delle prestazioni occasionali.

Nel passaggio successivo la circolare ricorda la piena applicabilità delle sanzioni legate al mancato rispetto del riposo giornaliero, delle pause e del riposo settimanale ed afferma che “il mancato rispetto da parte di qualsiasi utilizzatore (quindi, anche da parte della Pubblica Amministrazione) comporterà l’applicazione delle specifiche sanzioni previste dal D.L.vo n. 66/2003”. Quest’ultimo, all’art. 18-bis, le prevede per il riposo giornaliero e per quello settimanale (attraverso un sistema progressivo, per fasce) ma non per le pause (che, potenzialmente, potrebbe essere la violazione più frequente): a mio avviso, sarebbe stato opportuno ricordare agli ispettori che in tali casi è necessario applicare la disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004.
La nota ricorda, poi, riportando il testo dell’art. 3, comma 8 del D.L.vo n. 81/2008 che per quel che riguarda la tutela della salute e della sicurezza del prestatore, trovano applicazione le disposizioni contenute nel predetto Decreto ed in altre norme speciali qualora la prestazione sia svolta in favore di un utilizzatore imprenditore o di un professionista, mentre ciò non vale per le prestazioni rese in ambito familiare.

Da ultimo, la circolare ministeriale affronta la questione relativa all’ambito di applicazione della c.d. “maxi sanzione sul lavoro nero” (art. 22, comma 1, del D.L.vo n. 151/2015) in relazione alla sanzione “speciale” concernente l’obbligo di comunicazione preventiva della prestazione occasionale alla piattaforma informatica (comma 20).

La mancata trasmissione della comunicazione preventiva o la revoca della stessa a fronte di una prestazione lavorativa effettivamente svolta e accertata come subordinata, portano a considerare il rapporto come “sconosciuto” alla Pubblica Amministrazione, con la conseguente contestazione di “lavoro nero”, pur se il lavoratore dovesse essere registrato in piattaforma. In tale orientamento l’Ispettorato Nazionale del Lavoro trova il supporto della Cassazione che, con sentenza n. 16340/2013, non ha ritenuto sufficiente “quale elemento di conoscibilità” che un lavoratore risultasse iscritto all’Albo delle Imprese Artigiane.

L’attività interpretativa dell’INL tende, giustamente, ad individuare alcuni criteri per differenziare le ipotesi nelle quali trova applicazione l’una o l’altra sanzione. Si tratta di un “percorso stretto” che porta alla identificazione di alcune situazioni ben precise.

Si applica la sanzione prevista dall’art. 54-bis, comma 20, ferma restando la registrazione delle parti in piattaforma, allorquando ricorrano congiuntamente due requisiti:

la prestazione sia comunque possibile in ragione del mancato superamento dei limiti economici e temporali (280 ore) previsti dallo stesso art. 54-bis. Qui sarebbe stato il caso di precisare, soprattutto per i potenziali utenti, i diversi limiti temporali nel settore agricolo (in relazione ai compensi diversi secondo l’area di appartenenza) e che nel lavoro presso le famiglie il limite di 280 ore si raggiunge con un importo di 2.240 euro e non 2.500;
la prestazione possa considerarsi occasionale in ragione di analoghe prestazioni lavorative correttamente gestite, così da potersi configurare una mera violazione dell’obbligo di comunicazione. Qui l’INL fa l’esempio di una mancata comunicazione preventiva che riguardi una singola prestazione a fronte di una pluralità di prestazioni occasionali regolarmente comunicate nel corso del medesimo mese.
La mancanza di uno dei requisiti, qualora venga accertata la subordinazione, porta alla applicazione della maxi – sanzione che si applica anche nella ipotesi in cui la comunicazione alla piattaforma INPS venga effettuata durante l’accesso ispettivo.

La stessa violazione, infine, trova applicazione anche nei casi in cui dopo la prestazione l’utilizzatore revochi la comunicazione (ha tre giorni di tempo per farlo), ma gli organi di vigilanza abbiano accertato che la stessa è stata effettivamente resa. E, a tal proposito, l’INL preannuncia che, in stretto raccordo, con l’INPS sarà posta una particolare attenzione al fenomeno delle revoche, in relazione alla loro frequenza ed a possibili fenomeni elusivi.

Fin qui la circolare n. 5 che, come detto in premessa, offre le prime indicazioni operative agli Ispettorati Interregionali e Territoriali del Lavoro: probabilmente, anche se ci si riserva di fare ulteriori approfondimenti dopo una prima fase di monitoraggio, si sarebbe potuto dire qualcosa in più mettendo in evidenza come, ad esempio, non sia prevista alcuna specifica sanzione in caso di mancanza della comunicazione ex post (quindi non preventiva) nelle prestazioni in favore della persona fisica rese in ambito familiare. Ovviamente, in caso di accertamento di lavoro subordinato effettivamente svolto (con tutte le difficoltà legate ad una verifica per un lavoro di poche ore rese in ambito domestico), si procederà alla contestazione per “lavoro nero”, con tutte le conseguenze del caso.

Nulla ha detto, a livello interpretativo, la circolare circa quelle prestazioni, abbastanza frequenti, nei pubblici esercizi che, pur essendo uniche, si svolgono “a cavallo” di due giorni (inizio dell’attività alle 20 e cessazione alle ore 01 del giorno successivo): l’utilizzatore, trattandosi di prestazione che si svolge in un arco temporale di due giorni di calendario, per essere in regola con la previsione del comma 17 che fa riferimento al almeno “quattro ore continuative nell’arco della giornata (36 euro oltre alla contribuzione del 33% alla gestione separata, al premio assicurativo ed ai c.d. “costi” di gestione)”, deve effettuare una comunicazione per otto ore complessive, atteso che alle ore 24, cambia il giorno?
Nulla ha detto la nota dell’INL circa la previsione non sanzionata dalla norma della violazione della lettera b) del comma 1, laddove si vieta ad un utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori (ognuno dei quali può ben essere largamente sotto i limiti massimi di compenso o le ore annue consentite), di superare il limite complessivo dei 5.000 euro netti: probabilmente, il sistema informatico dell’INPS potrebbe prevedere una sorta di blocco finalizzato ad inibire le prestazioni.

Da ultimo, nei “primi chiarimenti” non è stata affrontata, esplicitamente, la questione che scaturisce dalla lettura del comma 13 secondo la quale il contratto di prestazione occasionale è “il contratto mediante il quale un utilizzatore, di cui ai commi 6, lettera b, e 7 (imprese, professionisti, ONLUS, associazioni, fondazioni, condomini con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a cinque, e Pubbliche Amministrazioni, senza limiti dimensionali, con le sole esclusioni soggettive previste al comma 14) acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità, entro i limiti di cui al comma 1 (5.000 euro netti complessivi nell’anno civile che, al massimo, nei limiti del monte ore annuo, non possono superare per i prestatori, presso il medesimo utilizzatore, la somma di 2.500 euro)”.

La questione non è di poco conto se si pensa che il lavoro accessorio si qualificava soltanto con i limiti di compenso stabiliti dal vecchio art. 48 del D.L.vo n. 81/2015. Qui, il rispetto dei limiti temporali e reddituali previsti al comma 1 sussiste (e sono gli unici requisiti che si richiedono nelle prestazioni domestiche), ma per gli altri utilizzatori la prestazione deve essere accompagnata da due ulteriori requisiti, peraltro alternativi, quello della occasionalità e quello della saltuarietà di ridotta entità.
Non è facile calare il primo concetto, quello della occasionalità, in un contesto organizzativo delle imprese ove, in modo abbastanza costante, la giurisprudenza di merito è restia a riconoscere tale requisito. Del resto, la circolare n. 5, affrontando, in presenza della violazione dell’obbligo di comunicazione, il difficile tema del raccordo tra la “maxi sanzione per lavoro nero” e la sanzione specifica prevista dal comma 20 ha affermato, propendendo per l’applicazione della seconda, in presenza di due requisiti, di cui il primo definisce occasionale che una prestazione può definirsi tale in ragione della presenza di analoghe prestazioni gestite, precedentemente in modo corretto ed in presenza del non superamento dei limiti reddituali annui.

Per quel che riguarda, invece, il concetto di saltuarietà di ridotta entità (ma per ogni prestazione il Legislatore richiede almeno quattro ore consecutive) credo che un aiuto possa giungere dalla stessa norma allorquando richiama il rispetto dell’art. 9 del D.L.vo n. 66/2003 da cui si deduce che una prestazione occasionale può essere definita saltuaria, pur se continuativa, se, ad esempio, dura per due settimane consecutive nel rispetto del riposo settimanale (due giorni) calcolato all’interno di quattordici giorni, cosa che comporta, ovviamente, il rispetto sia del riposo giornaliero (undici ore tra una prestazione e l’altra) che delle pause (almeno dieci minuti dopo sei ore di lavoro).



Fonte : Dottrina Lavoro