Licenziamento giustificato motivo oggettivo: quando è lecito

24 Ottobre, 2022   |  

La legge [1] consente ad un’azienda, a determinate condizioni, di licenziare uno o più dipendenti per ragioni che hanno a che fare con l’attività produttiva, con l’organizzazione del lavoro e con il regolare funzionamento dell’attività stessa. È il cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Quando è lecito attuarlo e quando, invece, il dipendente ha la possibilità di impugnare il provvedimento espulsivo?

In linea generale, ci devono essere tre condizioni per poter allontanare un dipendente per giustificato motivo oggettivo, cioè:

  • una riorganizzazione effettiva e concreta dell’azienda che abbia come conseguenza la soppressione di uno o più specifici posti di lavoro (si pensi alla chiusura di un determinato reparto);
  • il nesso di causalità tra l’esigenza dell’azienda che comporta la soppressione di un posto di lavoro e il licenziamento del dipendente che lo occupa;
  • l’impossibilità di ricollocare il lavoratore assegnandogli delle mansioni equivalenti o, in subordine, di livello inferiore, cioè di attuare il cosiddetto repêchage.

Su quest’ultimo punto, la Cassazione ha stabilito recentemente che non è possibile licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo senza valutare le mansioni superiori effettivamente svolte. In pratica, quando a un dipendente viene riconosciuto un profilo professionale più alto, i giudici di merito devono assolutamente verificare l’esistenza in azienda di posizioni libere che possono corrispondere all’attività di fatto espletata. Vediamo come funziona tutto questo meccanismo.

Quando si può licenziare per giustificato motivo oggettivo?
Come appena anticipato, per attuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Gmo) è necessario che si diano ameno tre circostanze, cioè la necessità di riorganizzare la struttura dell’azienda con la soppressione di uno o più posti di lavoro, il fatto che tale soppressione renda di fatto inutile la mansione svolta da un lavoratore e l’impossibilità di impiegare il dipendente da licenziare in un altro reparto.

La mancanza anche di una sola di queste condizioni rende il licenziamento illegittimo.

Il provvedimento espulsivo può essere motivato anche dall’esigenza dell’azienda di ridurre il costo del personale oppure per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore, che non rende possibile il repêchage.

In altre parole, il licenziamento per Gmo è lecito solo se rimane l’unica cosa da fare per poter proseguire l’attività dell’azienda perché non esistono altre ragionevoli soluzioni.

In ogni caso, il datore è tenuto a giustificare adeguatamente la sua decisione: su di lui, infatti, ricade l’onere della prova, che deve essere riportato anche nella comunicazione di licenziamento.

Licenziamento per Gmo: l’obbligo di repêchage.
Come detto, una delle condizioni essenziali per poter attuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è l’obbligo di verificare se il lavoratore può essere impiegato in un altro reparto dell’azienda non interessato dalla riorganizzazione in atto. È il cosiddetto repêchage. Che non deve per forza avvenire in una posizione dello stesso livello a cui il dipendente appartiene al momento di essere allontanato.

Una recente ordinanza della Cassazione [2] ha dichiarato illegittimo un licenziamento per Gmo poiché non era stata verificata la possibilità di assegnare al lavoratore delle mansioni per le quali è previsto un inquadramento superiore.

Il ragionamento della Suprema Corte è il seguente: se il lavoratore è in grado, per le sue capacità professionali, di occupare una posizione più elevata rispetto a quella che ricopre al momento di decidere il licenziamento, il dipendente ha diritto di essere assegnato al superiore inquadramento, soprattutto se quelle mansioni più qualificate le ha già svolte.

Si pensi, per fare un esempio, a chi appartiene a un III livello ma, pur mantenendo contrattualmente lo stesso inquadramento, da un certo momento in poi ha fatto un lavoro riconducibile ad un II livello. Se il datore ha l’esigenza di attuare dei licenziamenti per giustificato motivo in quel reparto e non trova all’interno dell’azienda una collocazione di III livello, sarà tenuto a dimostrare che per il dipendente non è disponibile nemmeno una mansione di II livello prima di optare per licenziarlo.

Licenziamento per Gmo: quale procedura lo rende lecito?
Come qualsiasi forma di licenziamento, anche quello per giustificato motivo oggettivo prevede il rispetto di una precisa procedura.

Innanzitutto, deve essere intimato obbligatoriamente per iscritto con una comunicazione in cui bisogna spiegare il motivo del provvedimento.

Per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, quindi prima del 7 marzo 2015 e per i dipendenti di imprese con più di 15 dipendenti è necessario avviare un procedimento di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro. Significa che il datore deve dare comunicazione del licenziamento non solo al dipendente ma anche all’Ispettorato. Entro sette giorni vengono convocate le parti per un tentativo di accordo che si deve concludere entro 20 giorni dalla data in cui è stata ricevuta la comunicazione.

In caso di mancata convocazione o di conciliazione fallita, il datore di lavoro può procedere al licenziamento. A quel punto, il dipendente ha la facoltà di avviare, assistito da un avvocato, una causa presso il Tribunale del Lavoro competente per territorio (fa riferimento la sede dell’azienda e, comunque, il foro indicato nella lettera di assunzione) al fine di contestare la legittimità del provvedimento espulsivo.

In tutte le altre ipotesi, cioè nelle aziende con meno di 15 dipendenti o per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act, non è prevista la procedura di conciliazione. Tuttavia, il datore può, entro 60 giorni dalla data del licenziamento, offrire al lavoratore un accordo in sede sindacale o presso una commissione di certificazione per la liquidazione di una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio. L’importo può oscillare fra 3 e 27 mensilità per le grandi aziende o tra 1,5 e 6 mensilità per quelle sotto i 15 dipendenti.



Fonte : La Legge per Tutti