Nuovo contratto a termine oltre il limite massimo: opportunità ed ostacoli [E.Massi]

22 Febbraio, 2019   |  

La possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine oltre la scadenza massima di durata: i limiti e le opportunità tra causali, contrattazioni collettive e deroga assistita

La profonda rivisitazione della normativa sui contratti a tempo determinato operata dal D.L. n. 87/2018 convertito, con modificazioni, nella legge n. 96, non ha toccato la possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine oltre la scadenza massima di durata, già prevista dal comma 3 dell’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 il quale afferma che “fermo restando quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato tra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la Direzione territoriale del Lavoro (ora, Ispettorato territoriale del Lavoro) competente per territorio. In caso di mancato rispetto della procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”.
Prima di entrare nel merito di alcuni chiarimenti amministrativi dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e di una esegesi della norma anche alla luce di quanto, nel 2008, fu affermato dal Dicastero del Lavoro con la circolare n. 13 del 2 maggio, reputo opportuno sottolineare come la reintroduzioni delle causali e, soprattutto, delle causali specifiche previste al comma 1 dell’art. 19, senza possibilità di alcun spazio di deroga lasciato alla contrattazione collettiva, abbia tolto molto “appeal” al nuovo contratto, definito “in deroga assistita”.

Per completezza di informazione e senza entrare nello specifico delle condizioni, ricordo che il predetto comma 1, vincola la validità del rapporto alla individuazione di una delle seguenti causali:

  • Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Come ognuno può ben verificare soltanto in caso di esigenze sostitutive di altri lavoratori il nuovo contratto “in deroga assistita” trova facilmente la propria ragion d’essere: nelle altre ipotesi, le difficoltà riscontrate nella apposizione delle condizioni, una volta superata la soglia dei dodici mesi, restano tutte e si ripropongono anche nell’ulteriore contratto.

Con una breve nota, la n. 1214/2019, indirizzata alle proprie articolazioni periferiche, l’INL sottolinea come la possibilità di stipulare un ulteriore contratto oltre il limite massimo di durata previsto dalla legge (ventiquattro mesi) o dalla contrattazione collettiva, anche di secondo livello, (che può ben essere superiore), sia sempre possibile, in quanto il Legislatore, al comma 2 dell’art. 19 fa salve “le diverse disposizioni dei contratti collettivi” i quali, appunto, secondo la definizione fornita dall’art. 51 sono, indifferentemente, da intendersi quali nazionali, territoriali od aziendali, sottoscritti dalle organizzazioni di settore comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle “loro RSU” o dalla RSA. Tale chiarimento interviene, sulla scorta di un parere endoprocedimentale fornito, dalla Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro e delle Relazioni Industriali del Ministero la quale, peraltro, aveva riconosciuto, sulla scorta della previsione normativa, piena efficacia ai limiti massimi previsti dagli accordi collettivi, “fino alla naturale scadenza”.

Da quanto appena detto discende la possibilità che, laddove l’ulteriore contratto non sia espressamente vietato dalla contrattazione collettiva (perché, ad esempio, il termine riconosciuto viene definito già abbastanza ampio, come nel caso del CCNL “Gomma e Plastica”), si possa stipulare un ulteriore rapporto a termine, pur se la deroga al limite legale sia notevole (ANPAL servizi S.p.A., detiene il “record” con ottantadue mesi).
L’ulteriore contratto “in deroga assistita” (tale definizione va riferita al fatto che la stipula avviene avanti ad un funzionario dell’ITL, competente per territorio) è stato, in passato, disciplinato, in via amministrativa, dalla circolare n. 13/2008 che, nella sostanza, viene richiamata integralmente anche per quel che concerne l’apposizione della condizione, in quanto, all’epoca, era vigente il D.L.vo n. 368/2001 che la prevedeva (allora, si parlava di esigenze tecnico, produttive, organizzative e sostitutive, riferibili anche all’attività ordinaria, cosa che rendeva, rispetto ad oggi, il contratto a tempo determinato molto più fruibile). Per completezza di informazione ricordo che la predetta circolare intervenne sulle novità che, attraverso la legge n. 247/2007 furono introdotte, sullo specifico tema con il comma 4-bis dell’art. 5, in attuazione del c.d. “Protocollo del Welfare” siglato il 26 luglio del 2007.

Fatta questa breve premessa, ritengo opportuno entrare nel merito delle singole questioni.

Ho detto, più volte, che questo ulteriore contratto deve contenere una delle causali indicate dal nuovo art. 19. Di seguito, evidenzio alcune questioni relative a queste ultime, sulla scorta di decisioni contenute in sentenze della Cassazione degli anni passati e che possono essere “di aiuto” anche per il funzionario dell’ITL chiamato a svolgere la propria attività “notarile” che, a mio avviso, significa anche delucidazioni alle parti circa le specifiche questioni attinenti il contratto:

  • La condizione da apporre al contratto a termine non deve, assolutamente, ripetere quanto già previsto dalla norma ma deve essere una esplicitazione della stessa, atteso che la mancanza di quest’ultima fa si che la stessa sia considerata generica e, quindi, inesistente. La causale, come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 1522 del 27 gennaio 2016, deve indicare le circostanze precise si da rendere evidente il legame tra la durata e le esigenze temporanee che giustificano l’impiego del lavoratore;
  • La causale, una volta apposta, non può essere modificata (Cass., 23 novembre 2016, n. 23864);
  • La causale, seppur legittima (ed il discorso vale anche per la somministrazione a termine), va raccordata con le mansioni effettivamente svolte dall’interessato, come ricorda la Cassazione con la sentenza n. 5372 del 7 marzo 2018;
  • Il rispetto formale della causale, non esonera, il datore di lavoro, in caso di contenzioso giudiziale, dal dover dimostrare la sussistenza delle ragioni che hanno determinato l’assunzione temporanea del lavoratore (Cass., n. 208 del 15 gennaio 2015);
  • L’introduzione della causale postula, come detto, una specifica e puntuale indicazione della esigenza oggettiva prospettata: tutto questo anche in un’ottica di correlazione con le mansioni per il quale il lavoratore è stato effettivamente assunto in modo da verificare che lo stesso sia effettivamente adibito ai compiti che si deducono dalle esigenze aziendali. Tale principio si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 22188 del 12 settembre 2018 emanata con riferimento alle condizioni previste dal D.L. vo n. 368/2001 ma che acquista una propria rilevanza anche alla luce delle causali reintrodotte con il D.L. n. 87/2018;

Un altro problema da focalizzare riguarda il momento della stipula dell’ulteriore contratto. Dal contesto normativo si evince che lo stesso può essere stipulato dalle parti soltanto al raggiungimento del limite massimo del precedente rapporto e la richiesta di incontro presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro può essere inoltrata in prossimità di tale scadenza. Il Legislatore radica la competenza secondo la sede ove viene svolto il rapporto: in questo modo, a mio avviso, va interpretata la frase “competente per territorio”. Ciò, tuttavia, non incide sulla circostanza che, una volta sottoscritto il nuovo contratto, il lavoratore possa essere utilizzato, secondo le usuali “dinamiche contrattuali” (ad esempio, trasferta, distacco ex art. 30 del D.L. vo n. 276/2003, ecc.), presso un’altra unità produttiva ubicata in altra provincia.

In teoria, potrebbe porsi un’altra questione: quella del contratto in deroga stipulato avanti ad un Ispettorato del Lavoro incompetente per territorio: tale patto è da ritenersi valido o no?

A mio avviso, se la volontà delle parti è stata espressa senza alcuna costrizione avanti al funzionario dell’Ispettorato e se il contratto individuale ha rispettato sia i contenuti previsti dalla legge che, l’eventuale accordo collettivo di riferimento, ritengo che, per il principio generale della conservazione degli atti, lo stesso possa esplicare validamente i propri effetti: nella sostanza, a trovare applicazione sarebbe lo stesso concetto che è alla base di un accordo raggiunto avanti ad una commissione provinciale di conciliazione (art. 410 cpc) incompetente.

La durata massima prevista dal Legislatore viene fissata in dodici mesi, ma se si stipula un contratto, ad esempio, per un periodo di sei mesi, si può arrivare con la proroga fino al termine massimo?

La risposta, a mio avviso, è negativa sulla base di due elementi: il dettato normativo (che, non dimentichiamolo) rappresenta, di per se stesso, una deroga alla disciplina ordinaria, parla di stipula di un contratto con un limite prefissato (fino a dodici mesi) ed, inoltre, l’introduzione della proroga non mi sembra in linea con la previsione legale la quale, all’art. 21, comma 1, ne legittima l’apposizione (in un numero massimo di quattro) nell’arco di ventiquattro mesi, a “prescindere dal numero dei contratti” (e qui i due anni mi sembrano già passati).
Atra questione che potrebbe presentarsi riguarda il dubbio se tra un contratto che scade ed il nuovo che viene sottoscritto in sede di ITL debba essere rispettato “lo stop and go” (dieci o venti giorni di calendario a seconda della durata del precedente rapporto a termine).

A mio avviso, lo “stacco” (ma non mi risulta che il Dicastero del Lavoro abbia mai affrontato la questione) potrebbe non essere richiesto in quanto, al termine massimo del periodo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, le parti stipulano, avanti ad un funzionario pubblico, un ulteriore contratto che presenta delle caratteristiche precise e che è, di per se stesso, una deroga rispetto alla normativa generale.

L’ulteriore contratto ha come possibili soggetti contraenti dalla parte del lavoratore, personale con la qualifica di operaio, impiegato o quadro, ma non quello con qualifica dirigenziale, atteso che la disciplina sul contratto a tempo determinato di questi ultimi è fuori dal Capo III del D.L. vo n. 81/2015 (art. 29, comma 2, lettera a).

La disciplina dell’ulteriore contratto è applicabile anche ai c.d., “contratti stagionali” previsti sia dal DPR n. 1525/1963 che dalla contrattazione collettiva?

La risposta è negativa in quanto tale tipologia contrattuale (ove la causale non è mai richiesta dal Legislatore come obbligo di natura legale) ha una disciplina “parallela” rispetto ai contratti a tempo determinato “ordinari”  (non c’è un limite massimo, non c’è lo “stop and go” ed il diritto di precedenza, da esercitare per iscritto entro il termine di tre mesi dal termine della prestazione (fatto salvo un diverso limite temporale stabilito dalla contrattazione collettiva), è soltanto per un ulteriore rapporto di natura “stagionale”.

Un tempo (con il D.L.vo n. 368/2001), era prevista l’assistenza obbligatoria del lavoratore demandata al rappresentante di una organizzazione sindacale al quale il lavoratore aderiva o conferiva mandato: con il D.L.vo n. 81/2015 non è più così ma, a mio avviso, nulla impedisce che il dipendente possa essere assistito in questa fase da un proprio sindacalista che può ben essere anche espressione di una sigla non “comparativamente più rappresentativa a livello nazionale”: ovviamente, il contratto deve essere sottoscritto dal prestatore interessato.

Il datore di lavoro è, altresì, tenuto al pagamento del contributo addizionale progressivo dello 0,5% (circolare n. 17/2018 del Ministero del Lavoro) a meno che la causale apposta al contratto non faccia riferimento a ragioni sostitutive di altri lavoratori.

Il contratto a termine di cui si sta parlando è, a tutti gli effetti un nuovo contratto: ciò significa che il datore di lavoro è tenuto, nel computo complessivo, a rispettare la percentuale legale del 20% o quella diversa prevista dalla contrattazione collettiva in rapporto ai contratti a tempo indeterminato e quella del 30% (o diversa, se prevista dagli accordi collettivi) in caso di sommatoria tra rapporti a termine ed in somministrazione (art. 31 del D.L.vo n. 81/2015, come modificato dalla legge n. 96, di conversione del D.L. n. 87/2018).

Un’ultima questione riguarda il ruolo del funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro: è stato già chiarito, in via amministrativa, che la firma dello stesso non ha alcuna funzione certificatoria del contratto, in quanto per ottenere tale risultato le parti, volontariamente, debbono seguire la specifica procedura avanti agli organi a ciò deputati, secondo la previsione contenuta negli articoli 75 e seguenti del D.L. vo n. 276/2003. Il funzionario ha il compito di verificare la correttezza formale del contenuto contrattuale (ricordando la necessità della apposizione della causale) e la “genuinità” del consenso espresso dal lavoratore al momento della sottoscrizione.



Fonte : Dottrina Lavoro